Rischio di diabete gestazionale e delle relative complicanze nelle donne immigrate: uno studio di coorte italiano
A cura di Lucia Briatore
25 maggio 2020 (Gruppo ComunicAzione) – È noto che le donne provenienti da continenti ad alta pressione migratoria (HMPC, high migration pressure countries), come Africa, Asia, America Latina, Europa orientale, presentano un rischio maggiore di diabete gestazionale (GDM, gestational diabetes) e una maggiore incidenza di obesità pregestazionale. Tali condizioni sono sfide aperte per i sistemi sanitari delle nazioni dove queste persone si trovano a vivere ed a partorire. L’Italia non è esclusa da tale contesto. Alcuni aspetti non sono tuttavia ancora del tutto chiariti, in particolare se e come la provenienza da paesi ad alto tasso di emigrazione modifichi il rischio di GDM e se sono differenti gli outcome avversi del GDM tra donne immigrate e donne native.
Per rispondere a tali quesiti è stato condotto in Toscana, dal dott. Graziano Di Cianni e collaboratori, un ampio studio di coorte recentemente pubblicato sulla rivista Diabetes Research and Clinical Practice.
Lo studio ha utilizzato vari registri amministrativi e i certificati di assistenza al parto (CAP), compilati regolarmente dalle ostetriche dopo ogni parto, per ottenere i dati clinici necessari sulle condizioni pregresse delle madri, la loro nazione di origine e lo stato di salute dei neonati. L’attenzione è stata posta sul rischio di GDM e di complicanze materno/fetali (macrosomia, grande per età gestazionale (LGA, large for gestational age), taglio cesareo, parto prematuro, distress neonatale e malformazioni fetali) tra le donne provenienti da paesi HMPC, rispetto alle madri italiane o provenienti da zone altamente sviluppate (Unione Europea, Svizzera, Australia, Canada, USA, Giappone). La coorte considerata comprendeva 581.073 donne italiane e 105.111 donne provenienti da HMPC, tutte di età tra 15 e 45 anni e residenti in Toscana negli anni 2012-2017. All’interno di questa sono stati analizzati i dati di 122.652 nascite di feto unico (18.596 da madri HMPC).
I risultati indicano che le donne provenienti da paesi HMPC, rispetto a quelle italiane, erano a maggior rischio di GDM (OR: 1,586; 1,509-1,666; p <0,0001), con un picco per le donne originarie dell’Asia meridionale (OR: 3,049; 2,618-3,553; p <0,0001). Il GDM era associato a un aumentato rischio di parto pretermine e di taglio cesareo, mentre i parti di donne migranti, indipendentemente dal GDM, erano gravati da un rischio maggiore di tutte le complicanze considerate. In un modello di analisi multivariata l’aumento di tutti questi rischi, inclusa la macrosomia o la LGA, è scomparso dopo l’aggiunta del termine di interazione etnia GDM × HMPC.
Tali risultati indicano che, rispetto alle madri italiane, le donne HMPC avevano un rischio maggiore di GDM e di tutti gli eventi avversi considerati, i quali, tuttavia, dipendono maggiormente dalla etnia che dalla presenza di GDM.
Gli autori evidenziano i limiti dello studio, poiché è stato condotto su dati amministrativi derivanti da una sola regione italiana, ma anche la forza di un campione di osservazione molto numeroso. Il dato che il rischio di complicanze materno/fetali possa dipendere solo parzialmente dalla presenza di GDM e maggiormente dall’etnia rafforza la convinzione che gli interventi di cura del GDM siano efficaci nel ridurre tale rischio e debbano essere continuati con la massima forza e convinzione. La presenza di altri fattori di rischio al momento non chiari deve farci porre la massima attenzione nell’assistenza alla gravidanza delle donne di etnie ad alto rischio.
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