Si può quantificare l’associazione tra attività fisica, malattie cardiovascolari e diabete? Risultati di una revisione sistematica e metanalisi
A cura di Enrico Pergolizzi
3 ottobre 2016 (Gruppo ComunicAzione) – L’insufficiente attività fisica (AF) è un fattore di rischio importante per le malattie non trasmissibili, come le malattie cardiovascolari (MC), il cancro e il diabete mellito (DM). Nel 2012, le MC sono risultate la prima causa di morte, con 17,5 milioni di decessi, e 1,5 milioni ne ha contati il DM, rappresentando rispettivamente il 31 e il 2,7% di causa di morte a livello mondiale.
Le attuali raccomandazioni internazionali per l’AF indicano il raggiungimento di almeno 150 minuti a settimana di attività di moderata intensità aerobica o 75 minuti a settimana di elevata intensità; per ridurre il rischio di cancro viene raccomandata un’AF di moderata intensità per 300 minuti a settimana. Tali raccomandazioni sono state generalmente ricavate da revisioni sistematiche e metanalisi di studi epidemiologici; tuttavia, esse non sono scevre da limiti. Infatti, molti trial hanno valutato i benefici di un singolo tipo di AF – ad esempio, la camminata o le attività ricreative. La maggior parte degli studi ha messo insieme i risultati in base a diverse categorie di esposizione (ad esempio, “alto” o “basso”), focalizzandosi però spesso solo su un tipo di attività, come, ad esempio, l’effetto della camminata sulla mortalità o l’effetto dell’attività fisica “non intensa”. Inoltre, le revisioni esistenti non hanno valutato la riduzione del rischio dopo adeguamento del peso corporeo e, quindi, non consentono di valutare l’effetto indipendente dell’AF sui risultati di salute, e di conseguenza almeno una parte dell’effetto osservato è probabilmente correlabile al mantenimento di un peso corporeo ottimale.
Per questo,Ahad Wahid e coll. (UK, Australia) hanno proposto uno studio, pubblicato sul Journal of the American Heart Association, per condurre una revisione sistematica e una metanalisi che permettessero di valutare l’associazione indipendente tra i livelli di AF e le CVD o il DM tipo 2, utilizzando un unico metro di misura e aggiustando per il peso corporeo. Per rendere confrontabili i risultati, l’esposizione all’AF in ogni studio è stata convertita in un’unica unità continua di misura come l’equivalente metabolico (MET) per ore al giorno superiore a quella consumata dal gruppo basale (denominato gruppo inattivo); un MET è stato definito come 1 kcal/kg ed è equivalente approssimativamente al costo energetico dello stare tranquillamente seduti. La conversione di questa scala è stata effettuata con riferimento al Physical Activity Compendium, che è stato sviluppato per l’utilizzo in studi epidemiologici per standardizzare l’assegnazione di intensità MET nei questionari di AF.
La ricerca è stata eseguita sulle banche dati elettroniche di MEDLINE ed EMBASE per tutti gli studi pubblicati dal gennaio 1981 al marzo 2014. Nell’analisi sono stati inclusi 36 studi (33 riguardanti le CVD e 3 il DM tipo 2) con 3.439.874 partecipanti e 179.393 eventi, nel corso di un periodo medio di follow-up di 12,3 anni. Il passaggio da uno stato di inattività a uno stato di AF raccomandato (150 minuti a settimana di attività aerobica di moderata intensità) è stato associato a una riduzione del rischio di mortalità per CVD del 23%, dell’incidenza di CVD del 17% e dell’incidenza di DM tipo 2 del 26% (rischio relativo [RR], 0,77 [0,71-0,84]; RR, 0,83 [0,77-0,89]; e RR, 0,74 [0,72-0,77]) rispettivamente), dopo aggiustamento per il peso corporeo.
In conclusione, utilizzando un unico parametro continuo di misura per i livelli di AF, è stato possibile confrontare gli effetti della AF sulla mortalità per CVD e sull’incidenza di CVD, tra cui infarto del miocardio, ictus e scompenso cardiaco, e sull’incidenza del DM tipo 2. L’effetto è stato simile per CVD e DM tipo 2, e ha evidenziato che il maggiore “guadagno” in salute è associato con il passaggio da inattività a una AF anche di intensità non elevata.
J Am Heart Assoc2016 Sep 14;5(9). pii: e002495
AMD segnala articoli della letteratura internazionale la cui rilevanza e significato clinico restano aperti alla discussione scientifica e al giudizio critico individuale. Opinioni, riflessioni e commenti da parte degli autori degli articoli proposti non riflettono quindi posizioni ufficiali dell’Associazione Medici Diabetologi.