Sulfoniluree e rischio di riammissione in ospedale: risultati di uno studio statunitense
A cura di Lelio Morviducci per il Gruppo AMD: Diabete e Inpatient
6 maggio 2016 (Gruppo ComunicAzione) – Nel corso degli ultimi anni, c’è stato un crescente interesse per il ruolo dell’ipoglicemia quale causa di ospedalizzazione e dei costi (diretti e indiretti) correlati al ricovero. Inoltre, gli ipoglicemizzanti orali (da soli o in combinazione con altri farmaci) sono inseriti tra le prime quattro cause più frequenti di ospedalizzazioni. Tra gli ipoglicemizzanti orali, le sulfoniluree (SU) mostrano un documentato maggior rischio di determinare ipoglicemia ed è, pertanto, ragionevole ipotizzare che i pazienti in trattamento con questa classe di farmaci siano ad aumentato rischio di ospedalizzazione rispetto ai pazienti che assumono altri ipoglicemizzanti orali.
L’obiettivo di uno studio statunitense condotto dalla Dott.ssa Pamela C. Heaton (Cincinnati, Ohio; USA) e coll. è stato quello di confrontare il rischio di riammissioni ospedaliere, correlate al diabete, nei pazienti con diabete tipo 2 trattati con SU rispetto a quelli trattati con altri agenti antiperglicemici orali (AIO). Si tratta di uno studio di coorte retrospettivo su diabetici tipo 2 che ha utilizzato come database il Medical Expenditure Panel Survey (MEPS) che fornisce dati, prodotti dall’amministrazione governativa, volti a fornire stime su come gli individui interagiscono con il sistema di assistenza medica negli Stati Uniti. A seconda della tipologia dei farmaci, i pazienti sono stati classificati, a seguito della loro prima dimissione, in pazienti in monoterapia con SU (SU coorte), pazienti in terapia di combinazione SU + AIO (SU+ AIO coorte), quelli in monoterapia senza SU (noSU coorte) e quelli in terapia di combinazione escluse le sulfoniluree (noSU+ coorte).
Dal 1999 al 2010, 19 milioni di pazienti sono andati incontro a un ricovero ospedaliero legato al diabete e dimessi con un trattamento ipoglicemizzante. Dopo l’esclusione dei pazienti insulino-trattati e dei ricoveri per gravidanza, 13,5 milioni di pazienti sono stati inseriti nello studio. La quota di riammissioni ospedaliere in tale coorte è risultata inferiore rispetto a studi simili probabilmente per l’esclusione dei pazienti trattati con insulina. I pazienti trattati con SU, rispetto a quelli trattati con AIO, hanno sperimentato un tasso significativamente più alto di riammissione ospedaliere (23,2 vs. 16,1%; p = 0,003). I pazienti nelle coorti SU erano in media 8 anni più anziani di quelli nelle coorti noSU. Si è osservata una riduzione significativa del numero di ospedalizzazioni multiple, nel tempo, con la quota di riammissioni dei pazienti SU più alta nel primo lasso di tempo e la quota di riammissioni dei pazienti noSU maggiore nell’ultimo periodo, a indicare una modificazione delle scelte terapeutiche probabilmente sulla base degli aggiornamenti delle linee-guida.
I limiti dello studio sono rappresentati dalla mancanza di dati clinici relativi alla gravità dei ricoveri (non ci sono valori di HbA1c, per esempio) e quello di aver definito i pazienti con riammissioni ospedaliere come coloro che avevano avuto uno o più ricoveri nello stesso anno, a differenza di altri studi nei quali era indicato specificamente il tempo tra la dimissione e la riammissione. Inoltre, non si può escludere la possibilità che le differenze nei tassi di riammissione possano essere correlati agli effetti benefici degli altri ipoglicemizzanti orali, in particolare quelli di metformina, piuttosto che agli effetti negativi delle SU.
In conclusione, questo studio indica che l’uso delle SU è associato a un rischio aumentato di circa il 30% di riammissione in ospedale con il 45% di aumento dei costi rispetto all’uso di AIO e che una riduzione dei ricoveri prevenibili, soprattutto riammissioni, può contribuire a ridurre i costi sanitari diretti.
BMC Endocr Disord 2016;16(1):4
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