Trattamento antipertensivo, valori pressori raggiunti e mortalità negli anziani istituzionalizzati
A cura di Andrea Da Porto per il Gruppo AMD: Diabete nell’Anziano
4 dicembre 2015 (Gruppo ComunicAzione) – Evidenze cliniche supportano gli effetti benefici a lungo termine della riduzione dei valori pressori in pazienti anziani (>80 anni) in buone condizioni cliniche e residenti a domicilio. Tuttavia, dati provenienti da studi osservazionali non hanno dimostrato un effetto benefico del controllo pressorio intensivo su mortalità e morbilità in questa tipologia di pazienti; al contrario, alcuni studi hanno suggerito un potenziale incremento della mortalità in pazienti fragili sottoposti a trattamento antipertensivo intensivo. Scopo di uno studio multicentrico longitudinale condotto dal Dott. Athanase Benetos (Nancy, Francia) e coll., pubblicato recentemente sulla rivistaJAMA Internal Medicine, è stato quello di valutare la mortalità per tutte le cause in anziani (età >80 anni) fragili e residenti in case di riposo, in relazione al grado di controllo pressorio ed al numero di farmaci antipertensivi assunti. Per tale ragione sono stati arruolati 1127 pazienti (età media 87,6, 78,1% donne) che sono stati seguiti per 2 anni, comparando i pazienti con valori di pressione sistolica <130 mmHg e in terapia con più di 2 farmaci antipertensivi con gli altri partecipanti.
Valori di pressione sistolica inferiori a 130 mmHg e l’utilizzo di più di 2 farmaci antiipertensivi sono risultati entrambi associati a più elevato rischio di mortalità per tutte le cause anche dopo correzione per fattori confondenti (HR 1,78; IC 95%, 1,34-2,37; p <0,001) dimostrando che pazienti anziani fragili con bassi valori di pressione sistolica in politerapia presentavano un eccesso di rischio di morte dell’81% rispetto agli altri partecipanti allo studio; tali pazienti presentavano inoltre livelli di disabilità e comorbilità significativamente maggiori (p <0,001 e p 0,005 rispettivamente). Il tasso di sopravvivenza a 2 anni dei pazienti con valori di pressione sistolica inferiori a 130 mmHg e in politerapia è risultato significativamente più basso degli altri partecipanti (p <0,001), mentre i tassi di sopravvivenza a 2 anni non differivano negli altri 3 sottogruppi (p = 0,72).
I risultati di questo studio dimostrano che tra i pazienti anziani, quelli fragili e istituzionalizzati con valori di pressione sistolica inferiori a 130 mmHg che assumono più di 2 farmaci antipertensivi presentano un rischio di mortalità a 2 anni più che raddoppiato. Da notare come il rischio rimanga elevato anche dopo aggiustamento per potenziali confondenti noti per influenzare negativamente il dato della mortalità (età, storia di scompenso cardiaco, cancro o altro evento cardiovascolare maggiore, Charlson Comorbidity index).
Questo studio condotto su un campione notevole di pazienti, con una metodologia valida (disegno longitudinale, adeguate metodiche di misurazione pressoria, correzione dei dati per numerosi confondenti, follow-up lungo) ha dimostrato che un controllo pressorio intensivo e l’utilizzo di più farmaci non solo non è utile ma, al contrario, risulti dannoso nell’anziano fragile e istituzionalizzato. Tali dati ci ricordano ancora una volta come lo stato di fragilità, più che l’età biologica, deve guidare il clinico nella scelta degli obiettivi di cura, ricordando a tutti noi che fare di più spesso non significa fare il bene dei nostri pazienti.
JAMA Intern Med 2015;175:989-95
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