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Outcome renali nello studio EMPA-REG OUTCOME: è tutto merito della pressione?

A cura di Roberta Manti

27 febbraio 2017 (Gruppo ComunicAzione) – E’ noto che ipertensione arteriosa e diabete tipo 2 (DMT2) sono condizioni cliniche frequentemente associate e hanno effetti addizionali non solo sul rischio cardiovascolare ma anche sul rischio di malattia renale cronica. La riduzione della progressione del danno renale nel DMT2 dipende infatti principalmente dal controllo pressorio, preferibilmente da ottenere con farmaci bloccanti il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) e dal controllo glicometabolico.

L’empagliflozin, inibitore del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2), ha dimostrato nello studio EMPA-REG OUTCOME in pazienti con DMT2 ed elevato rischio cardiovascolare, non solo di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari maggiori ma anche di determinare una più lenta progressione verso l’insufficienza renale e un più basso tasso di eventi renali clinicamente rilevanti, come già trattato nel nostro sito (1); tali risultati sono stati attribuiti ad un effetto emodinamico più che metabolico del farmaco, che comportando diuresi osmotica determina una riduzione dei livelli tensivi.

Al fine di analizzare il possibile contributo della riduzione della pressione arteriosa (PA) su tali outcome è stata recentemente condotta da A.J. Scheen  (Division of Diabetes, Nutrition and Metabolic Disorders, Department of Medicine, CHU Liège, Belgio) e coll. una review che ha analizzato i risultati di diverse metanalisi di studi clinici randomizzati che avevano l’obiettivo di testare l’effetto della riduzione della PAO con differenti farmaci antipertensivi sugli outcome renali di pazienti affetti da DMT2 (con focus sul ruolo dei livelli tensivi al baseline e dei livelli di pressione sistolica raggiunta nei diversi trial); gli autori hanno inoltre confrontato i risultati renali di EMPA-REG OUTCOME con quelli dei più importanti trial condotti con farmaci inibitori del RAAS e con alcuni dati preliminari disponibili per altri inibitori SGLT2; sono state effettuate anche analisi post-hoc dell’EMPA-REG OUTCOME.

A partire dai dati analizzati, gli autori sottolineano come nei trial di intervento con farmaci antipertensivi inibenti il RAAS in pazienti con DMT2, il principale beneficio ottenuto dal trattamento riguardava la riduzione della micro- e della macroalbuminuria (endpoint surrogato di nefropatia diabetica), ma non di outcome più “pesanti”, come quello più rilevante raggiunto con empagliflozin, cioè la riduzione del 55% del rischio di avvio del trattamento sostitutivo; a tal proposito, nella review vengono evidenziati i limiti del confronto tra i risultati renali ottenuti con empagliflozin e quelli ottenuti con gli inibitori del RAAS, primo fra tutti il fatto che la maggior parte dei pazienti dello studio EMPA-REG erano in trattamento con ACE-inibitori o sartani e presentavano livelli tensivi adeguati al baseline. Un’ipotesi al riguardo è che empagliflozin abbia un’azione sinergica con gli inibitori del RAAS con un effetto intrarenale più che un effetto sistemico (di riduzione dei livelli tensivi). Per verificare tale ipotesi, gli autori suggeriscono studi specifici, ad esempio di comparazione di empagliflozin con un diuretico in grado di determinare una riduzione analoga dei livelli di pressione sistolica in pazienti con DMT2 già in terapia con farmaci inibitori del RAAS.

Sebbene vada quindi ulteriormente e meglio indagato il meccanismo fisiopatologico alla base degli outcome renali raggiunti, i risultati ottenuti con empagliflozin e alcuni dati preliminari ottenuti con altri inibitori SGLT2 aprono nuove speranze nel miglioramento della prognosi dei pazienti affetti da DMT2 con danno renale.


1) News del 26 settembre 2016

2) Diabetes Metab 2017 Jan 30. pii: S1262-3636(17)30002-2. doi: 10.1016/j.diabet.2016.12.010 [Epub ahead of print]

PubMed


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