Gravidanza, vitamina D e prevenzione del diabete tipo 1
Da tempo si studiano le correlazioni tra vitamina D e diabete. Una mancanza di vitamina D predispone gli individui a sviluppare sia diabete tipo 1 (insulino-dipendente) sia di tipo 2 (non insulino-dipendente). Quest’importante vitamina sembra influenzare il sistema immunitario, proteggendo così gli individui dal possibile sviluppo di diabete tipo 1, e una carenza di vitamina D può inoltre diminuire la sintesi e la secrezione di insulina nell’uomo, predisponendolo in tal modo a sviluppare il diabete tipo 2.
Alcuni studi hanno valutato se la somministrazione di vitamina D in pazienti con diabete tipo 1 di recente insorgenza poteva essere protettiva contro la progressione della malattia: i risultati non sono stati positivi. Recentemente, alcuni ricercatori scandinavi hanno invece voluto valutare l’effetto della vitamina D sul rischio di sviluppare diabete tipo 1 nel corso della vita, osservandolo in una fase ancora più precoce, ovvero dosando i livelli della vitamina nelle madri durante la gravidanza.
La ricerca è stata pubblicata su un’importante rivista, l’American Journal of Epidemiology. Gli studiosi hanno misurato la concentrazione di vitamina D in varie fasi della gravidanza nel sangue delle mamme di 459 bimbi che hanno sviluppato in seguito il diabete tipo 1, e le hanno confrontate con quelle delle mamme di oltre 1500 bimbi che non hanno sviluppato il diabete. Tutti i bimbi sono nati tra il 1996 e il 2009 e la vitamina D è stata misurata anche sul sangue del cordone ombelicale alla nascita.
I risultati dello studio hanno mostrato che variazioni nei limiti della norma della concentrazione di vitamina D nel sangue materno e neonatale non influenzano il rischio di diabete tipo 1. Speriamo che ulteriori ricerche possano aiutarci a capire meglio le cause del diabete tipo 1, una malattia a oggi fortunatamente curabile ma non ancora guaribile né prevenibile.
Lack of Association Between Maternal or Neonatal Vitamin D Status and Risk of Childhood Type 1 Diabetes: A Scandinavian Case-Cohort Study
Am J Epidemiol 2018;187(6):1174-81