Canagliflozin e outcome renali nel diabete tipo 2 con nefropatia: lo studio CREDENCE
A cura di Eugenio Alessi
29 aprile 2019 (Gruppo ComunicAzione) – Il diabete tipo 2 (DT2) è il principale fattore responsabile dell’incremento globale, nelle ultime decadi, dell’insufficienza renale e della malattia renale terminale. In atto, l’unica terapia approvata per la nefroprotezione nel DT2 è il blocco del sistema renina-angiotensina mediante ACE-inibitori (ACE-I) o sartani. Gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2-i) sono farmaci ipoglicemizzanti che, in corso di studi di sicurezza cardiovascolare (CV), hanno dimostrato la capacità di ridurre l’incidenza di eventi CV: analisi su outcome secondari di tali studi suggeriscono che gli SGLT2-i possano avere effetti renali favorevoli, con il limite, però, che la popolazione in esame era a basso rischio di insufficienza renale, con un numero esiguo di pazienti che raggiungeva la malattia renale terminale.
Obiettivo dello studio CREDENCE (Canaglifozin and Renal Events in Diabetes with Estabilished Nephropaty Clinical Evaluation), multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, condotto da V. Perkovic (George Institute for Global Health, University of New South Wales Sydney, Australia) e coll. e recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, è stato quello di valutare gli effetti renali del SGLT2-i canagliflozin in pazienti con DT2 e malattia renale cronica con macroalbuminuria.
Sono stati reclutati 4401 pazienti con DT2, con malattia renale cronica e filtrato glomerulare (GFR, glomerular filtration rate) stimato con formula CKD-EPI compreso fra 30 e 90 ml/min per 1,73 m2 (il 60% di essi con filtrato fra 30 e 60 ml/min) e macroalbuminuria (rapporto albuminuria creatinuria [RAC] compreso fra 300 e 5000 mg/g), in terapia stabile con ACE-I o sartano, randomizzati a ricevere canagliflozin 100 mg/die o placebo. L’outcome primario composito era costituito dall’incidenza di malattia renale terminale, raddoppio dei livelli basali di creatinina o morte per cause renali o CV. Sono stati prespecificati vari outcome secondari, primo un composito di morte CV e ospedalizzazione per scompenso cardiaco, secondo un composito di morte CV, infarto del miocardio (IM) e ictus, terzo l’incidenza di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e altri ancora, nonché outcome di sicurezza.
Lo studio è stato interrotto precocemente per la chiara evidenza, durante un’analisi ad interim, di beneficio legato al trattamento per quanto riguardava l’outcome primario; il follow-up mediano è stato di 2,62 anni. L’età media dei partecipanti era 63 anni, il 33,9% era di sesso femminile, l’emoglobina glicata (HbA1c) media al basale era 8,3%, la durata media del DT2 era 15,8 anni, il GFR stimato medio era 56,2 ml/min, il RAC medio era 927 mg/g.
L’incidenza dell’outcome primario composito è stata significativamente più bassa nel gruppo canagliflozin (HR 0,70; IC 95%, 0,54-0,82; p = 0,00001) con, in particolare, una riduzione del 40% del rischio di raddoppio dei livelli basali di creatinina e del 32% del rischio di malattia renale terminale. Nell’analisi per sottogruppi i benefici erano maggiormente significativi nei pazienti con GFR inferiore a 60 ml/min e in quelli con RAC >1000 mg/g, ma consistenti anche nei rimanenti soggetti.
I pazienti nel gruppo canagliflozin hanno inoltre avuto una incidenza minore dell’outcome secondario composito morte CV e ospedalizzazione per scompenso cardiaco (HR 0,69; IC 95%, 0,57-0,83; p <0,001), dell’outcome secondario composito morte CV, IM e ictus ischemico (HR 0,80; IC 95, 0,67-0,95; p = 0,01) e dell’outcome ospedalizzazione per scompenso cardiaco (HR 0,61; IC 95%, 0,47-0,80; p <0,001). Quanto agli outcome di sicurezza, non vi era differenza significativa fra i due gruppi in termini di rischio di amputazione agli arti inferiori e di fratture. Vi è stato un basso tasso di episodi di chetoacidosi, ma maggiore nel gruppo canagliflozin (2,2 contro 0,2 per 1000 pazienti/anno).
Alla fine dello studio i pazienti nel gruppo canagliflozin avevano livelli lievemente inferiori di HbA1c(-0,25%, IC 95%, 0,20-0,31), pressione sistolica (-3,3 mmHg, IC 95%, 2,73-3,87), pressione diastolica (-0,95 mmHg, IC 95%, 0,61-1,28) e peso corporeo (0,80 kg, IC 95%, 0,69-0,92). Presentavano, inoltre, una riduzione media del 31% (IC 95%, 26-35) dei livelli di RAC rispetto al gruppo placebo e un rallentamento nel declino del GFR stimato (-1,85 ± 0,13 vs. -4,59 ±0,14 ml/min per 1,73 m2 per anno).
Sulla base di questi risultati, gli autori concludono che, in pazienti con DT2 e nefropatia, la terapia con il canagliflozin è in grado di ridurre significativamente il rischio di progressione della malattia renale e la malattia renale terminale, nonché il rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e l’incidenza dell’outcome composito morte CV, IM e ictus.
Tutto ciò è stato ottenuto su un background di terapia bloccante il sistema renina-angiotensina, in una popolazione ad alto rischio di insufficienza renale e nonostante le modeste differenze fra i gruppi in termini di riduzione di HbA1c, della pressione arteriosa e del peso corporeo. Il beneficio in termini di riduzione delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e di eventi CV è coerente con quanto osservato nei trial CV con SGLT2-i, così come i tassi simili di amputazioni e fratture fra il gruppo di trattamento e il gruppo placebo, a differenza, invece, di quanto osservato nello studio di sicurezza CV CANVAS, sempre con canagliflozin. Alcuni potenziali limiti dello studio, sottolineati dagli autori, consistono nell’interruzione precoce, che potrebbe aver limitato la potenza statistica per alcuni outcome secondari, e nell’esclusione di pazienti con GFR inferiore a 30 ml/min e con malattia renale con normo e microalbuminuria, per cui non è certo che i risultati siano generalizzabili a tali popolazioni.
N Engl J Med. 2019 Apr 14. doi: 10.1056/NEJMoa1811744. [Epub ahead of print]
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