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Semaglutide: un nuovo studio USA esclude il collegamento con ideazioni suicidarie

Punti chiave

Domanda: Qual è il rapporto fra l’uso della semaglutide (e/o degli analoghi del GLP1) e il rischio di ideazioni suicidarie e come esso influenza la percezione dell’impiego di tali farmaci nel contesto della salute pubblica e di un problema più ampio come il trattamento dell’obesità e del diabete tipo 2?

Risultati: Lo studio ha analizzato oltre 100 milioni di cartelle elettroniche di pazienti, riscontrando addirittura un rischio inferiore di ideazioni suicidarie in chi assume semaglutide rispetto ad altri farmaci per la cura del diabete.

Significato: I risultati dell’analisi smentiscono le preoccupazioni evidenziate in tale senso e suggeriscono che la semaglutide (come forse anche gli altri analoghi del GLP1) potrebbe ridurre il rischio di pensieri suicidari. Tuttavia, lo studio sottolinea la necessità di ulteriori trial per confermare tali conclusioni.


A cura di Michele Riccio

29 gennaio 2024 (Gruppo ComunicAzione) – L’obiettivo principale dello studio condotto da W. Wang (Center for Science, Health, and Society, Case Western Reserve University School of Medicine, Cleveland, OH; USA) e dal suo gruppo è stato valutare l’associazione fra l’uso della semaglutide e il rischio di ideazioni suicidarie. Gli autori hanno condotto un’analisi retrospettiva dei dati provenienti da oltre 100 milioni di cartelle elettroniche, per determinare se l’uso della semaglutide sia correlato a un aumento o ad una riduzione del rischio di pensieri suicidari, sia nei pazienti con diabete tipo 2 sia con problemi di obesità o sovrappeso

I principali elementi dello studio

  1. Metodologia: lo studio ha analizzato due gruppi distinti di pazienti, uno con obesità trattato con semaglutide 2,4 mg e l’altro con diabete tipo 2 trattato con semaglutide 1,0 mg. I pazienti sono stati seguiti per 6 mesi per valutare la comparsa e la ricaduta di idee suicidarie, utilizzando i dati delle cartelle cliniche elettroniche.
  2. Popolazione studiata: la ricerca ha coinvolto oltre 100 milioni di pazienti negli Stati Uniti, con una particolare attenzione a diverse categorie come genere, età ed etnia.
  3. Risultati: nei pazienti con obesità o sovrappeso la semaglutide ha mostrato un rischio significativamente inferiore di prime idee suicidarie e/o di ricaduta rispetto ad altri farmaci antiobesità (HR = 0,27, IC 95% = 0,20-0,60 coerenti con la stratificazione per sesso, età ed etnia). Analogamente, nei pazienti con diabete tipo 2, la semaglutide non ha dimostrato un rischio maggiore di idee suicidarie rispetto ad altri farmaci antidiabetici (HR = 0,36, IC 95% = 0,25-0,53 coerenti con la stratificazione per sesso, età ed etnia).
  4. Conclusioni: i risultati complessivi suggeriscono che la semaglutide non è sia associata a un aumento del rischio di ideazioni suicidarie e – al contrario – potrebbe essere correlata a un ridotto rischio di tali pensieri.
  5. Limitazioni dello studio: trattandosi di uno studio osservazionale retrospettivo, non possono essere tratte inferenze causali. Ulteriori limitazioni includono inoltre possibili errori diagnostici, presenza di confondenti non misurati e limitazioni legate alle dimensioni del campione.
  6. Implicazioni e necessità di ulteriori ricerche: pur offrendo rassicurazioni sulla sicurezza di semaglutide, gli autori sottolineano la necessità di nuovi studi controllati per approfondire la comprensione delle relazioni causali tra semaglutide e/o altri GLP-1 RA e ideazioni suicidarie.

Riflessioni e considerazioni

La storia dei farmaci per il trattamento dell’obesità è da anni costellata di segnalazioni di effetti collaterali gravi a carico del cuore o del sistema nervoso centrale che hanno portato gli enti regolatori a sospendere o limitarne l’uso. Un esempio significativo è il rimonabant, un inibitore del recettore cerebrale CB1 degli endocannabinoidi, inizialmente approvato per il trattamento dell’obesità e della sindrome metabolica, ma successivamente ritirato dal commercio a causa di gravi eventi avversi psichiatrici, inclusi episodi depressivi e gesti suicidari. L’insieme di questi problemi haspinto gli enti regolatori americani ed europei a introdurre indicatori specifici nei trial clinici e nei report post-marketing, come il tono dell’umore e la comparsa di idee suicidarie suicide, per valutare la sicurezza di tali farmaci.

Questa premessa è necessaria per comprendere la preoccupazione insorta in EMA e FDA relativamente a pensieri e comportamenti suicidari, non appena segnalati, in soggetti che facevano uso della semaglutide, anche a causa della crescente popolarità del trattamento, su internet e social media.

I risultati dello studio osservazionale analizzato, però, sono confortanti. E nonostante le limitazioni dello studio, come l’incapacità di valutare la significatività statistica dei tentativi di suicidio, l’analisi rende l’uso di tali farmaci più sicuro, sapendo che le precedenti ipotesi non trovano riscontro in un’ampia popolazione di pazienti.


Nature Medicine 2024;30:168-176


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