Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sarai
A cura di Maria Elena Valera Mora
26 febbraio 2024 (Gruppo ComunicAzione) – La relazione fra dieta e diabete tipo 2 è una tematica ampiamente studiata, così come i fattori che aumentano il rischio di sviluppare le complicanze croniche. La letteratura scientifica ha già raccolto molte prove a sostegno del fatto che alcuni singoli nutrienti possano modificare l’insorgenza e il decorso di alcune tra le principali malattie croniche, proprio come il diabete. Ad esempio, una dieta costituita principalmente da un elevato consumo di proteine animali, carboidrati e zuccheri è stata collegata a un rischio più elevato di sviluppare l’ipertensione arteriosa, l’aumento dei livelli di acido urico e grassi nel sangue e di diventare obesi, sia per gli uomini, sia per le donne.
La relazione fra il tipo di schema dietetico (l’insieme dei nutrienti) adottato e i livelli di glucosio a digiuno e dell’emoglobina glicata era stata evidenziata alcuni anni fa in uno studio che ha coinvolto una popolazione di sudafricani neri apparentemente sani. Nello specifico, le contadine che mangiavano prevalentemente amido, fibre alimentari e vitamine del gruppo B avevano livelli di glucosio e di emoglobina glicata molto bassi, così come i contadini che consumavano cibi ricchi di vitamina B1, zinco e proteine vegetali.
Ricerche scientifiche precedenti avevano già dimostrato che un consumo eccessivo di calcio, potassio, grassi, colesterolo, vitamine B2, B12, D e K con la dieta potesse essere collegato a un rischio maggiore di sviluppare la sindrome metabolica (obesità, ipertensione arteriosa, aumento dell’acido urico e dei grassi nel sangue), mentre una dieta ricca in potassio, vitamina A, fruttosio, vitamina C e vitamina B6 si associa negativamente (quindi potrebbe essere protettiva) alla probabilità di sviluppare la steatosi epatica.
Uno studio pubblicato recentemente – che ha coinvolto pazienti con diabete tipo 2 di età compresa tra 18 e 60 anni, confrontandoli con soggetti sani – ha portato a esplorare la relazione fra modelli nutrizionali e il rischio di sviluppare il diabete. L’apporto dietetico di nutrienti è stato valutato utilizzando un questionario in cui veniva indicata la frequenza del consumo di determinati nutrienti. Sono stati individuati tre diversi schemi dietetici in base alle principali sostanze nutritive assunte.
- Al primo gruppo appartenevano soggetti che con la dieta assumevano maggiore quantità di saccarosio, proteine animali, vitamina E, vitamina B1, vitamina B2, calcio, fosforo, zinco e potassio.
- Al secondo gruppo appartenevano soggetti che consumavano grandi quantità di fibre, proteine vegetali, vitamina D, riboflavina, vitamina B5, rame e magnesio.
- Al terzo gruppo appartenevano soggetti che consumavano in grande quantità fibre, proteine vegetali, vitamina A, riboflavina (vitamina B2), vitamina C, calcio e potassio.
In pratica, il primo gruppo adottava una dieta ricca di latticini a basso contenuto di grassi, il secondo gruppo una dieta ricca di cereali raffinati e il terzo gruppo una dieta in cui prevaleva un maggiore introito di frutta e verdura. Il terzo gruppo ha quindi riportato un’associazione significativa e inversa (protettiva) rispetto alla probabilità di sviluppare il diabete tipo 2.
La spiegazione potrebbe risiedere nelle proprietà di alcuni dei nutrienti assunti e in particolare:
- La vitamina C (contenuta negli alimenti freschi: in alcuni tipi di frutta e verdura come le arance, le fragole, i mandarini, i kiwi, i limoni, gli spinaci, i broccoli, i pomodori e i peperoni) ha un’azione vasodilatatrice, di protezione cellulare, di antiaggregazione piastrinica e di protezione contro le mutazioni geniche. È un importante antiossidante idrosolubile che diminuisce lo stress ossidativo cellulare e tissutale ed è stato proposto come un importante agente causale alla base della patogenesi dell’insulino-resistenza e nelle complicanze croniche del diabete.
- La vitamina A (contenuta nel fegato, nel latte e nei suoi derivati e nelle uova; molti alimenti di origine vegetale contengono invece i carotenoidi, precursori della vitamina A, come ad esempio frutta e verdura di colore rosso, giallo e arancione: albicocche, carote, anguria, frutti di bosco, pomodori) ha molte funzioni nel regolare la vita delle cellule ed è associata a una funzione antiossidante; contribuisce anche alla regolazione dell’espressione dei geni, all’integrità delle cellule epiteliali e alla resistenza alle infezioni.
- Il calcio: diversi studi hanno dimostrato una correlazione inversa tra livelli di calcio nel sangue e il rischio di sviluppare il diabete mellito.
- La riboflavina o vitamina B2 (contenuta nel fegato, nelle uova, nel latte e nei suoi derivati, nel lievito di birra, nei vegetali con le foglie verdi) rilascia al nostro corpo l’energia necessaria per svolgere le attività di tutti i giorni ed è indispensabile nella degradazione biochimica delle molecole del glucosio.
- Il potassio, se assunto in dosi adeguate, contribuisce a regolare la secrezione di insulina e il metabolismo dei carboidrati.
Infine, è stato dimostrato che chi consuma alimenti provenienti da “filiere corte” (numero limitato di passaggi produttivi che possono portare anche al contatto diretto fra il produttore e il consumatore, valorizzando la qualità dei prodotti, particolarmente di quelli che non necessitano di processi di trasformazione, come il riso o i prodotti ortofrutticoli freschi) ha una minore prevalenza di sindrome metabolica rispetto a chi consuma alimenti da “filiere lunghe” (numerosi passaggi e operatori coinvolti prima di arrivare alla commercializzazione del prodotto). In particolare, gli alimenti provenienti da “filiere corte” sono associati a livelli più bassi di trigliceridi e glucosio nel sangue.
In conclusione, l’attenzione dei ricercatori si sta spostando dallo studio dell’effetto di singoli nutrienti a quello delle loro combinazioni, nel tentativo di individuare i modelli nutrizionali che potrebbero aumentare la probabilità di sviluppare il diabete tipo 2 e altre malattie croniche.
Nutrient patterns and risk of diabetes mellitus type 2: a case-control study
BMC Endocr Disord 2024;24(1):10