La stratificazione del rischio
Salvatore De Cosmo
responsabile del Servizio di Diabetologia e Malattie metaboliche dell’IRCCS di San Giovanni Rotondo (FG)
In termini tecnici si chiama ‘stratificazione del rischio’. «È il processo in base al quale si valuta il rischio reale che una persona corre per esempio di subire una ischemia o un infarto o un ictus»; spiega Salvatore De Cosmo, responsabile del Servizio di Diabetologia e Malattie metaboliche dell’IRCCS di San Giovanni Rotondo.
Chi ha il diabete corre un rischio cardiovascolare alto, se il diabete non è sotto controllo, pari a quello di una persona che senza diabete ha già avuto un infarto. «Ma il diabete è solo uno dei fattori di rischio”, sottolinea De Cosmo, «stratificare il rischio è importante per intervenire in modo appropriato anche in sede di prevenzione».
La stratificazione del rischio può essere fatta dallo specialista così come dal Medico di medicina generale. «Ma in fondo anche dalla persona stessa, con un po’ di memoria, un metro da sarta e pochissimi test», spiega De Cosmo che svolge una intensa attività di ricerca iniziata al prestigioso Guy’s Hospital di Londra.
Il fattore di rischio principale per le malattie cardiovascolari (e per il diabete) è la familiarità. Avere almeno un parente di primo grado, padre o fratello che ha avuto un ictus un infarto o crisi ischemiche prima dei 65 anni aumenta molto la possibilità di trovarsi nella stessa situazione. Il secondo in ordine di importanza è il sovrappeso, o meglio la presenza di grasso addominale. «Basta avvolgere un metro da sarta intorno alla pancia all’altezza del girovita. Se la circonferenza è superiore a 88 cm per le donne e a 102 per i maschi, ecco un altro fattore di rischio. Anche perché il girovita è quasi sempre legato all’insulinoresistenza che è più difficile da calcolare – anche i diabetologi lo fanno raramente – e che sappiamo essere una anticamera del diabete e un pilastro della sindrome metabolica», continua De Cosmo.
Dopo familiarità e girovita, il terzo elemento è l’ipertensione. «Una pressione arteriosa fuori dalla norma è pericolosa in tutte le fasi dell’evoluzione aterosclerotica», spiega De Cosmo, «anche perché l’ipertensione tende ad aggravarsi da sola come il diabete in un circolo vizioso ipertensione – ridotta funzionalità renale – ancora ipertensione».
Una glicemia al limite fra diabete e non diabete, le cosiddette ridotte tolleranze ai carboidrati, concorre, a pari merito con l’ipertensione, in una classifica dei fattori di rischio più decisivi, «bisogna fare di tutto per riportare pressione e glicemia sotto controllo». A questi si aggiungono i famosi, ma forse un po’ sopravvalutati trigliceridi (non dovrebbero superare i 150 mg/dl, il colesterolo Hdl (almeno 40 mg/dl nei maschi, 50 nelle femmine). Anche il fumo ovviamente così come la vita sedentaria sono fattori di rischio.
Cosa fare? Dipende dal numero di ‘punti’ collezionati. Chi non si ritrova nessun fattore di rischio può vivere tranquillo. Se ha meno di 60 anni farà un po’ di esami ogni due anni magari aggiungendo a questi test biochimici e un elettrocardiogramma.
«Chi ne ha tre o quattro, per esempio, fuma, è sovrappeso e ha la glicemia al limite dovrebbe controllarsi ogni anno, e magari dare un’occhiata anche alla funzionalità renale: albumina e filtrato glomerulare. Se i fattori di rischio sono di più, i test vanno ripetuti ogni anno e forse vale la pena di fare qualche indagine più accurata».
De Cosmo non ama il ricorso inappropriato a tecniche diagnostiche che vanno riservate ai casi in cui sono davvero importanti, «inutile fare ecodoppler carotidei a tutti quelli che passano», spiega De Cosmo, «anche perché certi risultati si possono anche desumere da test più semplici: una pressione differenziale – la differenza tra la pressione ‘massima’ e la ‘minima’ – elevata si correla molto bene a una rigidità della parete delle arterie di grosso calibro e quindi a un possibile danno aterosclerotico e renale».
Certo, ecg sotto sforzo, ecocardiografie sotto stress e perfino coronarografie possono essere necessarie in alcuni casi. «Ma esiste anche una ‘tecnica diagnostica’ di cui non si parla più molto e che ha solo 3 mila anni: una buona accurata visita generale da parte di un medico: diabetologo, cardiologo o di Medicina generale non importa, purché sia coscienzioso», conclude Salvatore De Cosmo.