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Il fast food ‘passivo’

Forse il fruttivendolo non è il miglior amico dell’uomo. Ma è molto meglio averlo come vicino. Un approfondito studio della University of California a Los Angeles ha stabilito che indipendentemente dal reddito e dal grado di istruzione degli abitanti di un quartiere cittadino, il semplice fatto di abitare in una zona dove i ristoranti fast […]

Forse il fruttivendolo non è il miglior amico dell’uomo. Ma è molto meglio averlo come vicino. Un approfondito studio della University of California a Los Angeles ha stabilito che indipendentemente dal reddito e dal grado di istruzione degli abitanti di un quartiere cittadino, il semplice fatto di abitare in una zona dove i ristoranti fast food e mercatini discount sono più numerosi dei negozi di prodotti freschi induce a tassi di diabete e obesità più elevati nella popolazione. L’indagine dell’Ucla è stata condotta in tutta la California e come ha giustamente dichiarato al Los Angeles Time – che riportava la notizia dei risultati dell’analisi epidemiologica – l’assessore alla sanità della contea di Los Angeles Jonathan Fielding, «il fattore peso non è sempre e soltanto una questione di scelte personali. Anche l’ambiente che ci circonda ad avere un forte impatto ed è facile capirlo quando pensiamo alla qualità dell’aria. Meno se in gioco c’è la qualità di quello che mangiamo.»
Lo studio accademico ha ricavato dall’analisi dei dati due suggerimenti rivolti al pubblico regolatore: costringere i ristoranti a pubblicare in bella evidenza il contenuto (iper)calorico dei cibi venduti e studiare i piani regolatori in modo da non consentire la presenza di troppi punti vendita di quello che lo slang americano chiama “junk food”, il cibo spazzatura. Entrambi i consigli, che sembrano piuttosto ragionevoli, hanno incontrato la vivace opposizione dell’Associazione dei ristoratori californiani. Il suo presidente, Jot Condie, ha affermato al giornalista del Times che «è ridicolo affermare che abitare nelle vicinanze di un fast food equivale a vivere a poca distanza da una centrale a carbone. I ristoranti contribuiscono a moltiplicare le scelte individuali, ma alla fine è l’individuo che deve decidere.»
Lo studio, svolto dal Centro studi politiche della salute della Ucla e da due organizzazioni salutiste no profit, ha analizzato i risultati di una indagine svolta dall’Università californiana su un universo di 40 mila intervistati. «Viviamo in una giungla del junk food,» conclude tristemente Harold Goldstein, responsabile del Centro studi. Il tasso di obesità è del 20% maggiore nei quartieri in cui il rapporto tra punti vendita fast food e alimentari freschi è superiore al cinque a uno. Il tasso di diabete è ancora più marcato: il 23% in più. Lo scorso anno una proposta di legge del parlamento dello Stato della California prevedeva l’obbligo di dichiarazione del contenuto calorico nei ristoranti stile MacDonald’s. Ma il grande Schwarzy in persona, il governatore culturista, ha posto il veto.