Poco attendibili le informazioni che circolano sui social media
Dopo l’informazione, i viaggi e la finanza, la salute è il principale tema ‘serio’ di interesse per chi naviga su internet. Dopo una fase iniziale di relativa ‘anarchia’ negli ultimi 5-10 anni Società scientifiche, Istituzioni pubbliche e Aziende hanno promosso siti e portali ben curati e aggiornati e sottoposti a modalità di verifica dei contenuti. In Italia, in particolare, le fonti di informazione web per le persone con diabete sono numerose e qualificate.
Ora però si apre un capitolo diverso, quello del cosiddetto web 2.0 e dei social media cresciuti all’insegna della spontaneità e della interattività. Si tratti di Facebook o dei siti dove chiunque può porre una domanda (e chiunque può rispondere) la formula non prevede nessun tipo di verifica. Eppure è possibile, anzi accade, che attraverso questi media siano scambiate delle informazioni relative alla salute. Sono attendibili?
I ricercatori della Harvard University e del Brigham and Women’s Hospital di Boston si sono posti il problema e hanno esaminato 15 gruppi di Facebook dedicati alla gestione del diabete, analizzando 690 commenti.
Il primo dato emerso è che Facebook non è utilizzato solo per dare o ricevere supporto emotivo o per creare conoscenze o condividere sensazioni. Circa due terzi dei post includeva la descrizione (non richiesta) di strategie di gestione del diabete.
Purtroppo questi consigli, spesso diretti, non erano attendibili. Soprattutto, circa il 27% dei post conteneva attività promozionale su terapie non approvate dalla Food and Drugs Administration (l’ente che negli Stati Uniti vigila sulla sicurezza di farmaci e cibi) o prodotti ‘naturali’. “Le raccomandazioni clinicamente infondate si sono rivelate abbastanza frequenti” rivela lo studio pubblicato dal Journal of General Internal Medicine.
“Questi nuovi strumenti di conoscenza, supporto, empowerment del paziente sono importantissimi per chi soffre di una patologia cronica, ma la qualità del contenuto postato su social network come Facebook è ancora molto discutibile”, conclude Jeremy Greene coordinatore dello studio.