La Medicina di genere
Da un questionario recentemente distribuito dalla regione Sardegna è risultato che le donne sono più sensibili a un discorso di prevenzione anche se il risultato dei questionari conferma che hanno un maggior numero di fattori di rischio rispetto ai maschi.«La Medicina di genere nasce da due constatazioni: prima di tutto una differenza in termini di accesso alle cure, prevalenza delle malattie e delle loro conseguenze, decorso e gravità delle stesse fra maschi e femmine e dal fatto che i grandi studi ad esempio sulla efficacia dei farmaci sono effettuati in gran parte su soggetti maschi e che non sempre i risultati ottenuti si possono applicare alle femmine», spiega Maria Franca Mulas, membro del Comitato direttivo nazionale della AMD e del Gruppo Donna.
Quindi parlare di una specificità femminile non è solo un atteggiamento ‘politically correct’…
No, non è un formalismo. Parliamo di contenuti: di approcci alla terapia. Io stessa mi accorgo di non avere dato abbastanza attenzione a questa differenza in passato nella mia attività clinica. Il fatto che il paziente che ho davanti sia una donna caratterizza ora maggiormente il mio modo di rispondere alle sue esigenze.
Facciamo degli esempi di questa differenza, a parte gli aspetti ovvi, quali la sessualità e quindi anche fertilità maternità e menopausa.
Le differenze sono molte. La più macroscopica è che una donna con diabete ha un rischio maggiore di infarto (due volte) e di malattie cardiovascolari (tre volte) rispetto a una donna non diabetica di pari età e peso mentre nell’uomo con diabete il rischio aumenta ‘solo’ di 2 volte. Anche gli esiti dell’infarto sono più spesso infausti. In Europa nel 2010 sono morte per infarto o ictus 336 mila donne fra i 20 e i 79 anni contro 297 mila uomini.
Come si spiega questa differenza?
Ecco questo è l’aspetto davvero stimolante della Medicina di genere. Le ipotesi che si possono fare sono molte e non riguardano solo gli aspetti fisiologici che pure esistono. Il maschio quando avverte un sintomo lo dichiara più spesso, gli assegna il giusto rilievo e trova nella sua compagna una forte motivazione ad approfondirlo magari recandosi urgentemente in un Pronto Soccorso o chiamando l’ambulanza. Davanti allo stesso sintomo, una femmina è meno portata a parlarne e forse il compagno meno portato a insistere per un intervento. Abbiamo fatto grandi passi avanti nella uguaglianza fra maschi e femmine ma rimane l’atavico pregiudizio secondo il quale la donna – e quindi la sua salute e persino la sua sopravvivenza – è ‘meno importante’ rispetto all’uomo. A questo si aggiunge il fatto che molto spesso in una coppia anziana il maschio è ‘curato’ e la moglie è ‘curante’ e questo la disincentiva a sentirsi anche essa ‘paziente’.
Terribile e affascinante: ma i diabetologi curano allo stesso modo femmine e maschi?
Se parliamo di accesso alle cure direi di si. I dati degli Annali AMD affermano che c’è solo una leggera differenza nella intensità delle cure intendo dire percentuale di maschi e di femmine trattati con questa o quella categoria di farmaci o sottoposti a questo o quell’esame diagnostico. I risultati però sono diversi. Se prendiamo le persone con diabete con glicata superiore a 9% vediamo che a fronte di una maggiore insulinizzazione vi è una maggiore percentuale di donne scompensate. E questo è un dato che deve far riflettere. Potrebbe voler dire ad esempio che l’approccio terapeutico che con i maschi è efficace, nelle femmine potrebbe essere insufficiente. Non dimentichiamo che i trial che valutano l’efficacia delle terapie sono svolti soprattutto su campioni di maschi.
Ma per quali ragioni una terapia che nei maschi porta al compenso glicemico nelle femmine è meno efficace?
Anche qui ci possono essere spiegazioni fisiologiche, pensiamo alla insulinoresistenza dovuta alla menopausa, così come di stili di vita. Sappiamo che le donne sono più sedentarie non fanno nemmeno quel minimo di attività fisica che il maschio compie. Più in generale le femmine impiegano meno tempo per la propria salute e fitness rispetto ai maschi. Sappiamo che le femmine sono più spesso obese, possiamo ipotizzare che cucinando abbiano più occasione di assumere cibi fuori pasto…. Un altro aspetto da investigare è la presenza di altre malattie. Nei maschi anziani le patologie croniche compresenti al diabete possono essere diverse ma sono soprattutto legate alla sindrome metabolica e quindi i farmaci utilizzati hanno effetti convergenti. Le femmine sono più predisposte a malattie autoimmuni per esempio di tipo reumatico che si curano con corticosteroridi che alzano la glicemia.
Insomma curare una donna è più difficile.
Diciamo che ci vuole una attenzione ancora maggiore al decorso della malattia.
C’è qualche aspetto in cui le donne sono avvantaggiate rispetto ai maschi?
A parte quello ben noto che vede le donne meno soggette a rischi cardiovascolari in età fertile, abbiamo notato recentemente – con piacere – una maggiore disponibilità alla prevenzione da parte delle femmine. Recentemente la regione Sardegna, nell’ambito di un progetto di screening e prevenzione del diabete, ha distribuito alla popolazione un questionario per valutare il rischio di diabete. Tra i 6 mila questionari che abbiamo ricevuto a Oristano una quota preponderante sono stati inviati da donne. Questo significa che sono più sensibili a un discorso di prevenzione anche se il risultato dei questionari conferma che hanno un maggior numero di fattori di rischio rispetto ai maschi.
Insomma c’è una maggiore attenzione alla prevenzione da parte delle femmine…
Esatto una disponibilità che va incoraggiata e alla quale bisogna dare seguito con una assistenza più puntuale e più personalizzata.