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Feed the planet… riducendo gli sprechi

In tutti gli anelli della filiera alimentare si producono sprechi rilevanti. Andrea Segrè, docente a Bologna si è attivato a livello sia locale sia nazionale ed europeo per promuovere iniziative capaci di gestire gli sprechi e soprattutto di prevenirli. Lo abbiamo intervistato.

Si parlerà molto in questo 2015 di come ‘alimentare il pianeta’, tema scelto per l’Expo di Milano. Le risposte sono molte ma una ha in Italia, e precisamente a Bologna, un centro di competenza di livello mondiale nel team raccolto intorno al professor Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna, dove è direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari.

Segrè dedica la sua attività di studioso, divulgatore e animatore di iniziative nel privato sociale al tema dello spreco nel campo alimentare. Un tema nuovo: siamo abituati ad associare il concetto di spreco all’energia, all’acqua, al denaro ma meno al cibo.

«Eppure in tutta la filiera alimentare, dal campo coltivato fino al piatto o meglio fino alla pattumiera di casa, gli sprechi incidono in misura importante: il 20% nei Paesi avanzati molto di più in quelli in via di sviluppo dove, in mancanza di energia elettrica, catene del freddo o semplici mezzi di trasporto, la produzione alimentare non riesce a raggiungere i mercati di sbocco», afferma Segré.

L’anello al quale il docente, nato a Trieste nel 1964, ha dedicato inizialmente la sua attenzione è il penultimo: la gestione degli alimenti ‘scaduti’ da parte della distribuzione organizzata. «Le catene della grande distribuzione non avevano nessun incentivo a gestire gli alimenti vicini alla data di scadenza perché per contratto questi vengono ritirati dal produttore e scontati dalle sue fatture», spiega Segrè, che ha avviato uno spin-off dell’Università di Bologna divenuto eccellenza nazionale ed europea per la prevenzione e il recupero degli sprechi alimentari: Last minute market.

Last minute market offre una consulenza ai distributori e ai produttori e studia sotto il profilo logistico, legale e commerciale delle soluzioni che garantiscono un mercato agli alimenti in scadenza i quali peraltro nel 95% dei casi sono perfettamente commestibili. Non si tratta di una iniziativa ‘caritatevole’, «questo approccio va benissimo, ma noi vogliamo dare risposte strutturali e di mercato al tema dello spreco», spiega Segrè.

Oltre a passare dalla ‘buona volontà’ allo studio di soluzioni strutturali, Segré, che dall’ottobre 2013 è coordinatore del Piano Nazionale per la prevenzione degli sprechi alimentari istituito dal Ministro dell’Ambiente e rappresenta l’Italia all’interno del progetto Fusions varato dalla Commissione Europea, è passato dalla gestione alla prevenzione dello spreco alimentare.

In un Paese avanzato la prevenzione dello spreco ha molto spazio nell’ultimo anello della catena: l’economia domestica: il consumatore insomma. Il resto della filiera è abbastanza ottimizzata anche se si può fare di più per esempio nel creare un mercato per le parti meno richieste degli animali o per la frutta o la verdura esteticamente meno appetibile. «Nelle famiglie c’è da creare sensibilità e conoscenza, in una parola una cultura della prevenzione dello spreco», spiega Segrè che nel 2013 ha costituito. con SWG, Waste Watcher, il primo Osservatorio nazionale sugli sprechi alimentari domestici.

Conoscenza vuol dire saper distinguere nelle etichette le date di scadenza reali, oltre le quali il prodotto potrebbe essere compromesso e non più commestibile, dalle date ‘consigliate’ quelle che in inglese sono definite ‘best before’. Vuol dire organizzare la dispensa in modo da tenere ‘in prima fila’ in frigo e nell’armadio gli alimenti che da più tempo sono stati acquistati (e non viceversa come accade normalmente). Cultura vuol dire anche acquistare porzioni coerenti con le proprie esigenze e ovviamente non cucinare o portare in tavola più cibo del necessario.

La fase economicamente difficile potrebbe aumentare l’attenzione verso lo spreco alimentare, che costa due volte: alla persona che acquista e non consuma e alla collettività che deve smaltire il cibo avanzato. All’estero per esempio la grande distribuzione dedica banchi appositi agli alimenti vicini alla scadenza che vengono venduti a un prezzo più basso. Qualcosa del genere si fa anche in Italia ma in modo disordinato e disomogeneo. «Quello dello spreco alimentare comunque è un problema strutturale, non congiunturale», tiene a sottolineare Andrea Segrè. In pratica così come il tema dello spreco alimentare non si esaurisce nel ‘lasciare qualcosa ai poveri’, non è nemmeno da vedere solo come una risposta all’impoverimento delle famiglie.

Il fronte è ora quello del coinvolgimento della politica da una parte con legislazioni e normative nazionali e comunitarie che prevengano gli sprechi a vari livelli. In questo senso Segrè e il suo team sono un punto di riferimento a livello europeo è promotore della campagna europea di sensibilizzazione Un anno contro lo spreco, attraverso la quale ha ideato e promosso la Dichiarazione congiunta ripresa, negli obiettivi portanti, dal Rapporto di Iniziativa del Parlamento Europeo approvato in plenaria nel gennaio 2012.

Segrè sta cercando di coinvolgere gli enti locali, che hanno fatto grandi passi per esempio nella lotta allo spreco energetico (pensiamo all’illuminazione urbana) e si chiedono come gestire lo spreco dell’acqua. Ha promosso la Carta per gli enti territoriali a Spreco Zero, cui aderiscono centinaia di sindaci delle metropoli e delle città italiane, costituitisi nella associazione Sprecozero.net.

Segrè non è un medico e la sua attività è concentrata sull’economia o meglio sulle diseconomie della filiera alimentare, «ma vi è certo una corrispondenza perlomeno culturale fra lo spreco e la mancanza di controllo che vediamo nell’ambiente esterno e le malattie metaboliche causate dallo spreco e dalla mancanza di controllo su quello che avviene nell’ambiente interno», afferma.