Skip to content

Cambia il linguaggio, cambia la medicina?

Da un contributo apparso sul NEJM, molti spunti di riflessione sulla medicina che cambia. Un’analisi che condividiamo con voi tutti, perché in quest’epoca di crisi e di trasformazioni la medicina non può e non deve diventare ciò che non dovrebbe essere. L’articolo ci riporta a una visione della medicina più tradizionale diversa da quella più tecnicistica che siamo abituati o costretti ad avere quotidianamente. Posizione, quella degli autori, che per certi versi può anche essere discutibile, ma che vale la pena di prendere in considerazione e che può diventare motivo di discussione.

Al fondo dell'articolo, il modulo per postare online il proprio pensiero.

di Marco Comoglio


Mettiamola così: o meglio, mettiamola come hanno scritto Pamela Hartzband e Jerome Groopman, sul New England Journal of Medicine (365;15:1372-73; del 13 ottobre 2011): “durante il nostro primo anno di scuola di medicina abbiamo speso molte ore per imparare nuove parole, come se si trattasse di imparare una lingua straniera”. Tante ore per capire e mandare a memoria e per scoprire poi che non poche di quelle parole che ci parevano straniere avevano un significato famigliare, che spesso ci riportavano al liceo appena terminato: rubeola, ictus, gangrena…

Ma adesso, che magari qualche anno è trascorso da quegli inizi, scrivono Hartzband e Groopman,“ci troviamo nuovamente ad apprendere un linguaggio medico nuovo, pieno peraltro di parole che ci sembrano familiari”. Così, i pazienti non sono più tali, sono diventati dei “clienti”, dei “consumatori”. I medici e gli infermieri sono stati traslitterati in “fornitori”, in “provider”. E tutte queste nuove parole, questi nuovi descrittori, sono stati velocemente e ampiamente adottati dai mezzi di comunicazione, dalle riviste mediche, e sono utilizzati anche nei nostri incontri, congressi, nei nostri corsi.

Come avrete capito, Hartzband e Groopman, ci offrono una riflessione sulla quale vale la pena di soffermarsi. Paziente e consumatore o cliente, medico e infermiere e fornitore non sono sinonimi. Paziente deriva dal latino “patiens”, che significa sofferente, portatore di dolore. Dottore, parola con la quale solitamente si definisce il medico nel linguaggio quotidiano, è derivato da “docere”, nel senso di insegnare, e “nurse” infermiera in inglese, da nutrire, allattare (“nourish”), ossia chi cura (infermiere ci arriva dal latino “infirmus”, non stabile, non fermo, il nostro infermo, cioè ammalato, debole). Sono quasi quattro secoli che li utilizziamo.

Ovvero, modernizzata. Ovvero gestita, anche linguisticamente, in altro modo, aderente appunto all’economicismo, all’aspetto finanziario che segna la nostra epoca. Passando cioè attraverso l’uso di un linguaggio che rispecchi in toto il nuovo ordine, la nuova visone delle cose, i nuovi processi, i nuovi indicatori…

Però “le parole che usiamo per spiegare i nostri ruoli sono piene di significato, hanno creato delle aspettative e formato il comportamento” ricordano Hartzband e Groopman. E cambiare il linguaggiodella medicina impone conseguenze importanti, e non di rado deleterie. Anzitutto, le relazioni tra medici, infermieri, o qualsiasi altro professionista che abbia in carico i pazienti, vengono a prendere la caratteristica di una transazione commerciale. Il consumatore o cliente è il compratore, e il provider è il fornitore o venditore.

Dal loro punto di vista, da quello dei pazienti, ma anche dal nostro, da quello dei medici, ricordano Hartzband e Groopman, le parole “cliente” e “fornitore “ sono riduttive perché ignorano gli aspetti psicologici, culturali e umani che sono fondamentali nel rapporto fra chi ha bisogno e chi può aiutare, aspetti che tradizionalmente fanno della medicina una “chiamata”, in cui vince “l’oscuro altruismo”. Inoltre, ribadiscono Hartzband e Groopman, il termine “fornitore” è deliberatamente e assolutamente generico e non designa alcun ruolo o livello di esperienza specifico.

Ogni professionista che opera nel campo della salute – sia esso medico, infermiere, fisioterapista, dietista, e tutte le altre professioni previste e contemplate – “si è formato con competenze che non sono riconosciute dalla genericità del termine ‘fornitore’, che non ha nessuna risonanza di professionalità”.

Nel “fornitore” non vi è alcun accenno al “ruolo di medico come insegnante con speciali conoscenze per aiutare il paziente a capire le ragioni della sua malattia e le possibili modalità di porvi rimedio, nessun accenno al lavoro delle infermiere come ‘nutrici’ con competenze uniche la cui la cura è essenziale per la guarigione”.

Già: il termine generico “provider-fornitore” suggerisce che i medici e gli infermieri e tutti gli altri professionisti della medicina sono intercambiabili, dicono Hartzband e Groopman. Il termine “provider-fornitore” indica semmai che l’assistenza è sostanzialmente una merce preconfezionata, prodotta secondo un ciclo standard, e che come tante altre che viene “fornita” al “consumatore”. Dunque, non un qualcosa di personalizzato e dinamico, realizzato da professionisti qualificati e ritagliata su misura al singolo paziente.

La visione ecomicistico-finanziaria della nostra epoca è orientata verso un obiettivo definito: fare soldi, o risparmiarli. In qualsiasi caso, a economicizzare, a rendere valutabile solo in termini finanziari il rapporto medico-paziente.

Hartzband e Groopman lo dicono chiaramente:“ridurre la medicina ad economia si fa beffe del rapporto che esiste tra il medico e il malato”. E ricordano che “per secoli, i medici ‘mercenari’ sono stati pubblicamente e adeguatamente castigati o sono stati soggetti a caustiche caratterizzazioni nelle opere di Moliere e nelle storie di Turgenev. Questi medici avevano tradito la loro vocazione. E adesso noi dovremmo celebrare il medico la cui professione è diventata un business di successo, e massimizza i profitti dai ‘clienti’?”

Difficile dar loro torto. Anche quando ricordano che, al di là del nuovo linguaggio introdotto, delle nuove parole utilizzate,il movimento verso la finanziarizzazione e la standardizzazione della medicina (piuttosto che di sicurezza e protocolli di emergenza) ha indotto la scomparsa di alcuni termini che erano stati fondamentale per la nostra formazione medica. Ad esempio, il “giudizio clinico”, povero disgraziato, è sostituito da “pratica evidence-based”, la pratica della medicina basate su dati scientifici. Dunque oggettivi. Quasi che il giudizio, retaggio di un passato pre-industriale, non sia (mai stato) la risultante di una valutazione di dati oggettivi.

Peraltro l’evidenza non è una novità. Hartzband e Groopman ricordano come quei medici (e siamo tanti)la cui formazione medica è iniziata tre decenni orsono o più hanno sempre “ricercato periodicamente la prova scientifica delle pratiche cliniche”. Negli incontri o nei convegni abbiamo sempre discusso i progetti e i risultati delle ricerche degli studi. “Ma l’esercizio del giudizio clinico, che ha permesso la valutazione di tali dati e l’applicazione dei risultati dello studio ad un singolo paziente, è stato visto come il culmine della pratica professionale. Ora alcuni esperti di pianificazione di politica sanitaria e, talora, alcuni medici sostengono che l’assistenza clinica deve basarsi essenzialmente sull’uso di manuali operativi contenenti linee-guida reimpostate scritte da esperti. Queste linee-guida per la cura sono propagandate come scientifiche e oggettive. Al contrario, il giudizio clinico è valutato come soggettivo, inaffidabile, e non scientifico”.

Tutto vero? Tutto corretto? Hartzband e Groopman ci dicono di no, dicono che c’è un errore fondamentale in questa concezione. “Mentre i dati di per sé possono essere oggettivi, la loro applicazione all’assistenza clinica fornita da esperti che hanno formulato linee-guida non lo è. Questa è la verità: che la pratica basata sull’evidenza codificata in linee-guida cliniche ha un nucleo ineludibilmente soggettivo, e ciò è evidenziato dal fatto che lavorando con gli stessi dati scientifici, gruppi diversi di esperti scrivono linee-guida diverse per malattie comuni come l’ipertensione e l’ipercolesterolemia o per l’uso di test di screening per il cancro prostatico e della mammella. Il cut-off per il trattamento o il non trattamento, l’esecuzione test o non esecuzione di test, la valutazione dei rischi e benefici, tutti riflettono le preferenze degli esperti che scrivono le raccomandazioni”. Anche AMD in questi anni ha proposto linee-guida, in cui sempre è stato separato il livello dell’evidenza dalla forza della raccomandazione, con il fine di rendere massimamente trasparente la possibile soggettività delle indicazioni, nel rispetto del pensiero critico del medico.

Hartzband e Groopman, comunque, lo ricordano chiaramente: “questi valori e preferenze sono spesso soggettivi, non rigorosamente scientifici”.

Se dunque la presunta scientificità del dato oggettivo è definita, che impatto avrà il nuovo vocabolario sulla prossima generazione di medici e infermieri?

Hartzband e Groopmannon hanno dubbi: “La riformulazione del loro ruolo, trasformandolo in quello di fornitori ed esecutori di pratiche preconfezionate, diminuirà la loro professionalità. La riconfigurazione della medicina con termini economici e industriali probabilmente non attirerà pensatori creativi e indipendenti con competenze non solo nella scienza e nella biologia, ma anche con attenzione autentica all’umanesimo e alla cura”.

La conclusione è amara: “Quando noi stessi siamo malati, desideriamo che qualcuno si prenda cura di noi come persona, non come cliente pagante, e che ritagli il trattamento su chi noi siamo”. Nonostante il rispetto puramente verbale dell’assistenza ‘focalizzata sul paziente’, le forze che spingono il nuovo linguaggio della medicina spostano l’attenzione dal bene degli individui alle esigenze del sistema e ai suoi costi. Il mercato e i termini industriali possono essere utili agli economisti, ma questo vocabolario non deve ridefinire la nostra professione. ‘Cliente’, ‘consumatore’, e ‘provider’ sono parole che non appartengono al nostro insegnamento e alla clinica. Crediamo che i medici, gli infermieri e le altre persone coinvolte nell’assistenza dovrebbero rifuggire l’uso di tali termini, che sviliscono il paziente e allo stesso modo trascurano pericolosamente l’essenza della medicina”.

Come non essere d’accordo con Hartzband e Groopman? Come non ricordare che per AMD i pazienti diabetici sono “persone con diabete”, insieme alle quali attuare non meri protocolli di efficienza ma la vera EBM, l’integrazione delle migliori prove di efficacia clinica con l’esperienza e l’abilità del medico ed i valori del paziente? Un dibattito aperto, che vale la pena di affrontare con coraggio e discutere fino in fondo.


Linee-guida per lasciare un commento
 
Gentile Utente, anche ai sensi e per gli effetti delle linee-guida emesse dal Garante della Privacy in data 25 gennaio 2012, intendiamo comunicarLe alcune avvertenze per l’utilizzo dei servizi di blog e forum:
 
1) Le ricordiamo che i dati di contatto (quali ad esempio nome e cognome o nickname o indirizzo di posta elettronica) da Lei inseriti nel messaggio saranno pubblicati unitamente al Suo commento;
2) La invitiamo a valutare attentamente l’opportunità di inserire, all’interno dei Suoi commenti, Suo dati personali e/o sensibili;
3) La invitiamo a valutare attentamente l’opportunità di pubblicare o linkare foto, video o audio che consentano di identificare o rendere identificabili persone e luoghi;
4) La invitiamo a prestare particolare attenzione alla possibilità di inserire, nei Suoi interventi, dati che possano rivelare, anche indirettamente, l’identità di terzi;
5) Le ricordiamo che i dati da Lei immessi nel messaggio saranno resi pubblici su questo sito internet, rimarranno archiviati nello stesso senza limiti di tempo e potranno essere indicizzabili e dunque reperibili anche dai motori di ricerca generalisti (Google, Yahoo, ecc.).