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Congresso ADA 2015 – Highlights

Indice congresso    6 giugno    8 giugno    7 giugno   

Le relazioni del 7 giugno

I problemi gastrointestinali sono di ostacolo alla terapia con gli agonisti del recettore GLP1

Secondo i dati di uno studio presentato all’ADA 201, circa la metà dei pazienti diabetici tipo 2 ha smesso di assumere gli agonisti del recettore glucagon-like peptide-1 (GLP-1 RA) nel primo anno di terapia e i problemi gastrointestinali (GI) sono stati una delle ragioni principali della sospensione.

Per Mirko Sikirica, PharmD, e colleghi, due dei primi cinque motivi che i pazienti arruolati in una loro ricerca hanno elencato come cause di cessazione della terapia sono stati correlati a problemi GI, ma in un sondaggio rivolto ai medici i ricercatori hanno trovato che gli stessi sanitari sottovalutavano il ruolo dei problemi GI.

Naveed Sattar, MD, PhD, dell’Università di Glasgow, Scozia (UK), commentando i dati presentati dal gruppo di Sikirica ha detto: “Questo è un dato utile ai medici per ricordare che le prospettive della terapia e i suoi effetti sui pazienti meritano una maggior attenzione nel corso delle visite”. E Sikirica ha precisato: “Noi medici spesso ci concentriamo troppo sulla biochimica e a volte ci dimentichiamo di chiedere quello che i nostri pazienti sentono e qual è la loro soddisfazione del farmaco che gli somministriamo. E questo lo dobbiamo fare in modo aperto e sincero per evitare che i pazienti dicano quello che loro pensano che noi vogliamo sentire”.

Sikirica e colleghi si sono basati sui dati del 2014 Adelphi Diabetes Disease Specific Programme, una survey sostenuta da un’azienda farmaceutica, che ha campionato medici e pazienti negli Stati Uniti e in Europa. Sono stati intervistati oltre 800 medici e quasi 11.000 pazienti, dei quali circa 2000 avevano preso o stavano assumendo un GLP-1 RA.

I ricercatori hanno incluso un altro campione di circa 2500 pazienti per “garantire un numero sufficiente di soggetti”. Di quei pazienti, 452 erano stati segnalati da parte del medico curante per aver interrotto un GLP-1 negli ultimi 6 mesi.

I primi cinque motivi riportati dai medici quali cause di sospensione della terapia con GLP-1 RA sono stati:

  • Mancanza di controllo della glicemia: 46%
  • Nausea/vomito: 44%
  • Effetti GI collaterali: 37%
  • Richiesta del paziente: 18%
  • Mancanza di complicanze: 10%.

Ma i pazienti hanno esplicitamente citato i problemi GI quali cause per l’interruzione della terapia con GLP-1 RA; nello specifico:

  • Mi ha fatto sentire ammalato: 64%
  • Mi ha fatto vomitare: 45%
  • Preferenza della terapia orale rispetto alla terapia iniettiva: 40%
  • Non adeguato controllo glicemico: 35%
  • Causato la diarrea/flatulenze/gonfiore intestinale: 26%.

Lo studio ha anche esaminato i problemi sperimentati da coloro che ancora stavano assumendo GLP-1 RA. Di 750 medici, il 33% di essi pensava che i pazienti avrebbero preferito un farmaco per via orale al posto di un farmaco iniettato: in realtà lo pensava il 56% dei pazienti. E il 38% dei pazienti trattati con GLP-1 RA aveva detto che il farmaco “lo faceva sentire malato”, ma solo il 16% dei medici ha dichiarato che il GLP-1 RA faceva “sentire il paziente malato”.

Sikirica ha detto che non è risultato chiaro il motivo per cui i medici sottovalutavano il ruolo dei problemi GI: “I dati sono globali e provenienti da otto paesi, quindi non possiamo tirare fuori una precisa, singola, esaustiva ragione”.

Ma ha anche precisato che “sottolineare le differenti visioni del paziente e del medico può contribuire a migliorare la scelta del farmaco e migliorare il risultato dei pazienti che continuano la terapia con GLP-1 RA.”

Jerome Tolbert, MD, PhD, del Mount Sinai Health System di New York (USA), commentando lo studio ha detto che i medici sono generalmente consapevoli dei potenziali effetti GI collaterali cui possono incorrere i pazienti in trattamento con GLP-1 RA. “Ma la cosa può essere un problema quando il medico non discute ciò con il paziente prima di iniziare la terapia. Ci possono essere dei problemi a cui i pazienti non sono stati ben preparati: la conseguenza è ottenere il rifiuto della terapia”.

E ha aggiunto di ritenere che anche se la terapia con GLP-1 RA sta migliorando la nausea può diventare un problema non rilevante, ma alcuni pazienti possono pur sempre non essere in grado di tollerarla a causa dei problemi gastrointestinali ed essere portati a sospendere il farmaco”.

Conflitto di interessi: Sikirica e i suoi coautori sono dipendenti GSK; gli altri coautori sono dipendenti di Adelphi Real World. Tolbert ha dichiarato rapport con GSK.
Fonte: Sikirica M, et al. Reasons for discontinuation of GLP-1 receptor agonists: Data from a large cross-sectional survey of physicians and type 2 diabetic patients. ADA 2015.


Una nuova insulina basale è efficace ma sono riportati problemi epatici

La nuova insulina basale peglisproè efficace almeno come l’insulina glargine e può ottenere un vantaggio sul peso, anche se rimangono aperte domande circa l’ipoglicemia e possibili danni epatici. Lo ha detto, all’ADA 2015, un gruppo di ricercatori anglo-statunitensi.

I quali hanno precisato che il trial in doppio cieco IMAGINE 2 (dedicato al diabete tipo 2) ha evidenziato una non inferiorità per l’endpoint primario con un’HbA1c di 6,9% della nuova insulina contro il 7,2% dell’insulina basale convenzionale alla settimana 52 (differenza -0,29%, IC 95% da -0,4 a 0,19).

Melanie Davis, MBChB, MD, della England’s University of Leicester – Diabetes Research Center (UK), ha poi spiegato che la nuova peglisproha prodotto un aumento ponderale nel diabete di tipo 2 analogo a quello dell’insulina glargine (2,1 vs. 2,6 kg a 52 settimane). Mentre Satish Garg, MD, della University of Colorado di Denver (USA), ha segnalato che nel diabete tipo 1, il trial open label IMAGINE 1 ha mostrato non solo non inferiorità rispetto all’insulina glargine ma una superiorità della peglispro(cambiamento HbA1c dal basale -0.69 vs. -0,33% a 26 settimane, p <0,001).

E ha detto: “A mia conoscenza, questo è il primo studio di registrazione di un analogo dell’insulina, se si parla di analoghi dell’insulina basale o analoghi dell’insulina ad azione rapida, che mostra chiaramente che c’è stato un significativo miglioramento dell’HbA1c, anche se si estende l’endpoint primario a un anno e mezzo”.

E ha precisato che in quella popolazione di diabetici tipo 1 la peglispro è risultata in realtà associata a costante calo ponderale nelle 78 settimane di follow-up rispetto all’aumento registrato nel gruppo trattato con glargine, per una differenza media complessiva di -1,9 kg (IC 95% da -2,5 a -1,2).

“L’aumento ponderale è di solito uno dei problemi della terapia insulinica” ha commentato Jerome Tolbert, MD, PhD, del Monte Sinai Beth Israel di New York (USA). “Generalmente non ci aspettiamo che i pazienti perdano peso quando iniziano una terapia con insulina, ma se non c’è aumento ponderale, allora questo è un vantaggio” ha continuato. “Mi piacerebbe sapere cosa ha di diverso questo tipo di insulina rispetto alle altre.”

Mentre i trial non potevano spiegare la differenza, Davis ha suggerito una chiave di lettura: “ Avevamo sempre supposto che la riduzione dell’ipoglicemia notturna potesse avere un impatto sul peso. Ma quasi mai è stato così. Sappiamo che peglispro ha un effetto ridotto sulla periferia, che può esitare in aumento della lipolisi e nella riduzione dei depositi lipidici. Fatto che potrebbe essere in parte responsabile della differenza ponderale riscontrata.”

“Aspettiamo da tempo un insulina epato-selettiva “ ha detto Stephanie Amiel, MD, of King’s College London (UK). “Tuttavia” ha osservato, “i benefici sull’ipoglicemia notturna sono venuti a scapito di una maggiore ipoglicemia grave nel diabete tipo 1”. E ha definito i risultati “per certi aspetti un po’ deludenti. Io non credo che si possa dire di avere un controllo migliore solo con un’HbA1c più bassa ma con un aumento del rischio di ipoglicemia grave. Per avere un migliore controllo è necessario avere entrambi: HbA1c bassa e basse ipoglicemie”.

In conclusione, J. Hans DeVries, MD, PhD, della University of Amsterdam (Paesi Bassi) ha definito la selettività epatica del farmaco una “spada a doppio taglio.”

Valutazione dell’epatotossicità

Egli ha precisato che sia l’IMAGINE 1 sia il 2 hanno evidenziato problemi epatici, ragioni per le quali negli USA la registrazione di peglispro è stata bloccata dalla Food and Drug Administration. Da parte sua l’azienda produttrice a inizio anno aveva dichiarato il posticipo della richiesta di approvazione almeno sino a dopo il primo trimestre 2015 per “disporre di dati clinici aggiuntivi.”

Davis ha precisato che peglispro è un’insulina lispro legata al glicolepolietilenicoper aumentare la sua dimensione, superiore a quella dell’albumina, il che ne rallenta la clearance per un tempo di dimezzamento di circa 2-3 giorni e la rende epato-selettiva.

Nello studio IMAGINE 2, però, l’alanina aminotransferasi (ALT) era almeno 3 volte il limite superiore della norma nel 2,3% con peglispro rispetto allo 0,6% con insulina glargine (p <0,05). In IMAGINE 1, i valori erano 4,5 contro 0,7%, rispettivamente (p = 0,041).

In entrambi gli studi nessun paziente ha avuto un incremento della bilirubina di 2 volte il limite superiore della norma, non attribuibile ad altre cause, criteri noti come legge di Hy che segnalano danno epatico farmaco-indotta.

Sottostudi con RMI per valutare la steatosi epatica non hanno mostrato in entrambi gli studi alcun aumento con peglispro, ma una diminuzione con insulina glargine in IMAGINE 2 e un aumento con peglispro rispetto alla diminuzione con glargine in IMAGINE 1, con differenze tra i due gruppi statisticamente significative.

“Ricordo comunque che la peglispro è un’insulina maggiormente attiva sul fegato” ha detto Garg. “E fino a 78 settimane, abbiamo visto un aumento del grasso epatico di poco sopra il range di normalità. Il livello di normalità di steatosi epatica è di 5,5 ed esso è salito al massimo a 5,8 o 6. La quantità di grasso epatico che provoca steatosi o che causa resistenza all’insulina deve essere centinaia o migliaia di volte più alto”.

Il problema ipoglicemia

Nel complesso, hanno poi detto i ricercatori, l’insulina peglispro sembrava avere un vantaggio nel ridurre l’ipoglicemia notturna, ma al prezzo di una potenziale ipoglicemia più grave nel diabetico tipo 1.

Nel diabete tipo 1, nell’IMAGINE 1 i risultati con peglispro versus glargine sono stati:

  • Rischio relativo di ipoglicemie totali a 26 settimane: +29% (p <0,001)
  • Rischio di ipoglicemia notturna a 26 settimane: <36% (p <0,001)
  • Incidenza di ipoglicemia grave a 26 settimane : 11,3 vs. 5,7% (p = 0,061)
  • Incidenza a 78 settimane: 15,0 vs. 8,2% (p = 0,039).

Nel diabete tipo 2, in IMAGINE 2 i risultati con peglispro rispetto a glargine fino alla settimana 52 sono stati:

  • Rischio relativo di ipoglicemia notturna: <27% (p = 0,005)
  • Nessuna differenza per le ipoglicemie totali (77 vs. 80%; p = 0,187)
  • Nessuna differenza le ipoglicemie gravi (0,4 vs. 0,6%; p = 0,700).

Fred Storms, MD, PhD, dell’Hospital St. Antonius in Utrecht (Paesi Bassi), a conclusione della presentazione ha rilevato che: “Un aspetto positivo del programma IMAGINE è che esso ha dimostrato la possibilità di fare uno studio in doppio-cieco, cosa che nessuno fa più”.

Conflitto di interessi: Lo studio è stato supportato da Eli Lilly. Davies ha dichiarato rapport con AstraZeneca, Boehringer Ingelheim, Eli Lilly, Janssen, Merck Sharp & Dohme, Novo Nordisk, Sanofi-Aventis e Mitsubishi Tanabe Pharma. Garg ha dichiarato rapporti con Eli Lilly, Eisai, JAEB Center, Juvenile Diabetes Research Foundation, Lexicon Pharmaceuticals, Medtronic, National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases, Novo Nordisk, Roche Diagnostics, Sanofi, Halozyme Therapeutics, MannKind, T1D Exchange. Tolbert h dichiarato rapport con AstraZeneca and GlaxoSmithKline.
Fonti:
Garg SK, et al. Greater HbA1c Reduction with Basal Insulin Peglispro (BIL) vs. Insulin Glargine (GL) in an Open-Label, Randomized Study in T1D Patients (pts): IMAGINE 1. ADA 2015; Abstract 95-OR.
Davies MJ, et al. Basal Insulin Peglispro (BIL) Is Superior to Insulin Glargine (GL) in Reducing HbA1c at 52 Wks in Insulin-Naïve T2D Patients (Pts) Treated with Oral Antihyperglycemic Medications (OAMs): IMAGINE 2. ADA 2015; Abstract 93-OR.


I microinfusori deludono nel loro impiego nel mondo reale

Uno studio retrospettivo inglese presentato all’ADA 2015 ha mostrato che i microinfusori possono migliorare, ma spesso non controllare i valori glicemici nei diabetici tipo 1.

Lalantha Leelarathna, MBBS, PhD, della University of Manchester (UK), e colleghi hanno rilevato che il 38% dei pazienti inclusi nella loro ricerca e in terapia con microinfusore ha mantenuto un’HbA1c al di sopra dell’8,5% e l’11% aveva un valore superiore al 10%. Ciò malgrado un miglioramento medio dello 0,6% dopo l’inizio della terapia con microinfusore, con maggiori diminuzioni in pazienti con livelli più elevati di HbA1c.

Clifford J. Bailey, PhD, dell’Aston University di Birmingham(UK), ha commentato: “E’ stato sorprendente vedere livelli tanto elevati di HbA1c non controllati negli adulti. Mi sarei aspettato solamente pochi pazienti oltre l’8,5% e che non fossero adolescenti”.

Leelarathna ha convenuto e ha suggerito che l’aderenza potrebbe essere una spiegazione e che un uso limitato del monitoraggio continuo del glucosio (che nel Regno Unito non viene normalmente finanziato dal sistema sanitario nazionale) nella coorte avrebbe potuto essere un altro fattore. “La gestione di diabete tipo 1 è ancora molto impegnativa. E anche con la terapia con microinfusore molti pazienti non raggiungono l’obiettivo. Questa è la realtà”.

“Si spera sempre che il microinfusore migliori il controllo glicemico, ma la cosa dipende dal fatto che il paziente faccia le cose necessarie” ha commentato Cynthia Giovane, RN, del Maine Medical Center di Portland (USA). “Un microinfusore ha la stessa intelligenza dell’utilizzatore”, ha concordato Erica Page, RN, CDE, del Mercy Hospital di Portland (USA).

Lo studio ha incluso 442 i pazienti trattati con microinfusore per almeno 12 mesi e la glicata è stata calcolata come media su un periodo di 30 mesi a partire da novembre al 2014. La coorte aveva un età di 31-50 anni e una mediana di 20 anni di durata di malattia all’inizio della terapia con pompa. Età, durata del diabete e la lunghezza del follow-up non sono stati fattori significativi nel cambiamento nel controllo glicemico dopo avere iniziato la terapia con microinfusore.

Nel complesso, la proporzione di pazienti con un valore della HbA1c <7,5% è migliorato passando dal il 19 al 32%, mentre la percentuale gruppo di HbA1c >8,5% è scesa dal 52 al 40%. La marca del microinfusore non era significativamente legata al miglioramento, e anche microinfusori tradizionali venivano più spesso associati a un miglioramento dell’HbA1c pari almeno allo 0,5%.

I limiti dello studio includono il disegno retrospettivo basato sul singolo centro, la mancanza di dati sulle ipoglicemie e i possibili bias di selezione.

Leelarathna ha detto: “Non è chiaro se questi dati sono estendibili ad altri centri, ad esempio quelli statunintensi”. E Bailey ha fatto notare che: “L’uso di microinfusori nel Regno Unito è inferiore rispetto agli Stati Uniti. Ed è riservato ai soggetti più difficili da trattare, di solito quelli difficili da controllare in entrambi le direzioni, dell’ipoglicemia e dell’iperglicemia. Ma la nostra più grande preoccupazione è quella di evitare le ipoglicemie gravi.”

Conflitto di interessi: I ricercatori hanno dichiarato l’assenza di potenziali conflitti di interessi.
Fonte: Leelarathna L, et al. Glycemic control in a large cohort of patients with type 1 diabetes (T1DM) treated with continuous subcutaneous insulin infusion (CSII). ADA 2015; Abstract 226-OR.