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Diabete.it

Farmaci per la terapia dei fattori di rischio cardiovascolare

Si dice sempre che la persona con diabete non è malata, eppure molti quando vanno dal medico si vedono prescrivere molti farmaci contemporaneamente. Si tratta di una scelta scientificamente fondata o solo di una ecceso di zelo da parte del medico?

a cura di
Domenico Cucinotta

La più frequente e la più grave delle complicanze croniche del diabete mellito, in particolare del diabete di tipo 2, è la macroangiopatia con i quadri clinici ad essa correlati (cardiopatia ischemica, che comporta il rischio di infarto e di angina; ischemia degli arti inferiori, con la possibilità di gangrena e amputazioni; vasculopatia cerebrale, che può condurre ad ictus). Ciò comporta non solo un grave pregiudizio allo stato di salute del singolo individuo, ma anche costi assai elevati per il sistema sanitario e per la società. È dunque evidente che prevenire la macroangiopatia è un obiettivo prioritario nella cura di ogni paziente con diabete mellito.
Il problema clinico è rappresentato dal fatto che, a differenza della microangiopatia (cioè della patologia a carico dei piccoli vasi del rene e della retina) in cui la responsabile principale se non esclusivo del danno è l’ìperglicemia, alla comparsa della macroangiopatia diabetica concorrono diversi fattori di rischio, tra cui la stessa iperglicemia ma anche l’aumento della pressione arteriosa, le alterazioni dei lipidi plasmatici (aumento dei trigliceridi, diminuzione del colesterolo “buono” cioè l’HDL, alterazioni della composizione del colesterolo “cattivo” cioè l’LDL), il fumo, la tendenza all’ipercoagulazione del sangue ed altri ancora. Il ruolo di tutti questi fattori di rischio è stato ben documentato da alcuni importanti studi come l’UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Study) (1), che ha dimostrato come, in una ampio gruppo di pazienti con diabete di tipo 2 seguiti per oltre 10 anni, la comparsa di eventi macroangiopatici dipendeva strettamente dai valori di colesterolo, di pressione arteriosa, di emoglobina glicosilata e dall’abitudine al fumo.

Esistono obiettivi definiti anche per pressione, colesterolo e trigliceridi, così come accade per l’emoglobina glicata?

Per prevenire la macroangiopatia diabetica occorre correggere simultaneamente e in maniera ottimale non solo la iperglicemia ma anche la ipertensione arteriosa, la dislipidemia, la ipercoagulabilità del sangue, oltre ovviamente a far smettere di fumare nel contesto di uno stile di vita salutare. Per fare ciò occorre avere obiettivi terapeutici ben precisi, che devono fare riferimento alle indicazioni fornite dalle più importanti linee-guida internazionali, naturalmente da adeguare caso per caso secondo le necessità del singolo paziente. Tra le più autorevoli indicazioni recenti vi sono quelle dell’International Diabetes Federation (IDF), che indica come obiettivi ottimali nel diabete di tipo 2 una emoglobina glicosilata < 6.5% con una glicemia a digiuno < 110 mg/dl e postprandiale < 145, valori di pressione arteriosa < 130/80 mmHg, livelli di colesterolo LDL < 95 mg/dl, di colesterolo HDL > 39 e di trigliceridi < 200, oltre all’uso dell’aspirina come agente anticoagulante (2).

Abbiamo le prove che questo tipo di intervento ‘ad ampio raggio’ funzioni?

Che questo tipo di intervento multifattoriale ed aggressivo funzioni è dimostrato da un altro studio molto importante, lo Steno-2, in cui un gruppo di pazienti con diabete di tipo 2 e ad alto rischio di complicanze è stato sottoposto a 2 schemi terapeutici molto diversi: un sottogruppo veniva trattato in maniera non aggressiva, cioè con obiettivi più permissivi, l’altro invece veniva gestito in maniera intensiva, secondo obiettivi molto simili a quelli indicati sopra. Quest’ultimo gruppo, che oltre alla terapia farmacologia praticava anche uno stile di vita rigoroso (cessazione del fumo, alimentazione salutare, attività fisica regolare) nel corso degli anni ha avuto una netta riduzione, rispetto all’altro gruppo, di tutte le complicanze del diabete, non solo microangiopatiche ma anche cardiovascolari: a distanza di 8 anni dall’inizio dello studio i pazienti in terapia intensiva avevano meno della metà di eventi (infarto, ictus, ecc.) rispetto a quelli non trattati intensivamente (3).

I medici si rendono conto che per un paziente è difficile (e anche un po’ deprimente) assumere ogni giornmo tutte queste pillole?

I medici sanno che l’impegno che viene richiesto al paziente è notevole non solo in termini di rispetto dello stile di vita e di frequenza dei controlli, ma anche come numero di farmaci da assumere quotidianamente e per un periodo di tempo illimitato. Nello studio di cui sopra, ad esempio, è stato calcolato che i pazienti assumevano una media di 8 farmaci al giorno: 2-5 compresse per la glicemia (e, se necessaria, l’insulina), 2-3 per la pressione, 1-2 per la dislipidemia, l’aspirina ed altri eventuali farmaci. Questo significa che oggi i sanitari curanti devono preoccuparsi non solo e non tanto di prescrivere al loro paziente tutto ciò che è necessario per raggiungere gli obiettivi terapeutici, ma devono anche verificare che gli obiettivi vengano raggiunti e devono tenere conto del fatto che uno degli ostacoli maggiori a che ciò avvenga è proprio rappresentato dalla possibilità che la persona non assuma tutti i farmaci che gli vengono prescritti o non lo faccia con la regolariutà prevista.
Se il paziente conosce e comprende i vantaggi che potrà ricavare dal suo impegno a medio/lungo termine, sarà sicuramente motivato a mantenere un elevato livello di aderenza al trattamento che gli viene prescritto. Questo significa che il sanitario curante dovrà informare bene il suo paziente di tali vantaggi, dovrà spiegargli in dettaglio il perché delle scelte terapeutiche compiute e dovrà condividere con lui gli obiettivi terapeutici.

Bibliografia

United Kingdom Prospective Diabetes Study Group: UK Prospective Diabetes Study 23: risk factors for coronary artery disease in non-insulin dependent diabetes. BMJ 1998, 316: 823-828

IDF Clinical Guidelines Task Force: Global guidelines for type 2 diabetes. International Diabetes Federation, Brussels 2005

Gaede P, Vedel P, Larsen N, Jensen GV, Parving HH, Pedersen O.: Multifactorial intervention and cardiovascular disease in patients with type 2 diabetes. N. Engl. J. Med. 2003, 348: 383-393