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Diabete.it

Perché la glicemia deve essere ben controllata nel diabete di tipo 2?

Studi condotti per molti anni su grandi numeri di persone, con metodologie e risultati controllati e confermati, ci permettono di affermare oltre ogni ragionevole dubbio alcuni concetti chiave. Ecco quelli che riguardano la necessità di mantenere la glicemia il più possibile vicina ai valori di chi non ha il diabete, salvo casi particolari in cui è necessario “personalizzare” l’obiettivo.

a cura di
Carlo Giorda

Nel diabete di tipo 2, tenere la glicemia più normale che si può, in ogni momento della giornata richiede un impegno costante e faticoso. Eppure vi sono evidenze scientifiche che permettono di affermare che questo impegno è necessario.

Esistono prove sulla necessità di mantenere valori glicemici vicini alla norma?

Vi sono numerosi studi osservazionali, ovvero quelli in cui si raccolgono informazioni e dati sui pazienti con diabete senza interferire con il loro trattamento, che ci dicono con certezza che i soggetti in miglior compenso glicemico hanno meno problemi ai vasi sanguigni, si ammalano di meno, vivono meglio e di più.

Ad esempio lo studio americano WESDR (Wisconsin Epidemiology Study Diabetic Retinopathy) o lo studio olandese Hoorn, che hanno seguito decine di migliaia di pazienti, ci segnalano in maniera netta che i soggetti che hanno le glicemie più basse sviluppano meno problemi alla retina, al rene e alle arterie in generale.

E in Italia? Stesse conclusioni: gli studi di Casale Monferrato e di Verona riportano minori complicanze e minore mortalità nei pazienti con buon controllo glicemico. Nello studio DAI, 20,000 pazienti seguiti in tutta Italia, ogni punto di emoglobina glicata in meno si traduce in una riduzione del 20% di infarto o ictus.

Ma in medicina non bastano i dati osservazionali, ci vuole anche la controprova, ovvero si deve provare a intervenire per vedere se le cose migliorano (studi di intervento, o clinical trials). Gli autori dello studio di intervento UKPDS, nel 2000, hanno pubblicato un lavoro epocale in cui concludono che su circa 4800 pazienti trattati con con dieta, compresse orali e, se necessario, insulina per ogni riduzione di un punto di emoglobina glicata (equivalente a una media di circa 25 mg/dl in meno di glicemia) si è avuta una riduzione del 37% dei danni oculari e renali e del 14% di infarto.

Negli studi di intervento molto aggressivo condotti negli USA intorno al 2008 (ACCORD e VADT) si è visto che su pazienti anziani con lunga durata di malattia, intervenire con tanti farmaci per ridurre l’HbA1c può provocare problemi (aumento della mortalità, ipoglicemie). Tuttavia, anche in questi studi, l’osservazione a 5-6 anni ha di nuovo confermato che, soprattutto i soggetti con meno anni di diabete, hanno un vantaggio cardiovascolare se si riduce l’HbA1c con trattamenti intensivi.

Sempre in tema di controprove, dati scientifici provano che il buon controllo della glicemia, anche nel diabete di tipo 2, induce la regressione di iniziali lesioni retiniche e renali. E questo è ben descritto nello studio Kumamoto, attuato in Giappone.

Esistono prove sulla necessità di mantenere un buon controllo della glicemia durante i ricoveri ospedalieri per cause diverse dal diabete?

Avere la glicemia più bassa migliora poi la degenza ospedaliera nei ricoveri per qualsiasi causa, soprattutto in quelli per problemi cardiovascolari o interventi chirurgici. Attualmente tutte le evidenze scientifiche supportano l’indicazione ad intervenire con insulina se durante un ricovero la glicemia supera i 140 mg/dl.

È necessario controllare bene anche la glicemia dopo i pasti?

Verosimilmente sì

Le evidenze a favore di un controllo stretto della glicemia nel diabete di tipo 2 sono davvero tante, ma vi è ancora un punto da chiarire: ridurre le oscillazioni della glicemia, soprattutto i picchi dopo i pasti (glicemia postprandiale), serve?
Molti studi, tra cui quelli italiani di Verona e San Luigi di Orbassano, ci porterebbero a rispondere di sì.

Bibliografia

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