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Diabete No Grazie

Fumare (oltre al resto) aumenta il rischio di diabete

Chi fuma apre la porta del suo organismo a più 4 mila sostanze, una delle quali perfino radioattiva. E aumenta del 60% il rischio di diabete. Insomma smettere è la singola decisione più vantaggiosa per la salute. Ma da soli non è facile. Parola di Vincenzo Zagà

Vincenzo Zagà
Vicepresidente della Società Italiana di Tabaccologia
Dirigente del Presidio di Pneumotisiologia e Coordinatore Centri Antifumo della Azienda USL Bologna.

Smettere di fumare è la singola decisione più vantaggiosa per la salute. Ovviamente dei polmoni ma non solo. Il fumo di tabacco (tabagismo è il termine medico) è infatti un fattore di rischio per il diabete di tipo 2 e per il cosiddetto pre-diabete, in particolare l’alterata glicemia a digiuno. Per la precisione chi fuma ha un 44% di rischio in più di sviluppare il diabete rispetto ai non fumatori.

Chi ha il diabete (in particolare quelli che presentano le altre caratteristiche della sindrome metabolica) praticamente sgomita per avere un infarto o un ictus. Associa infatti al diabete – che a seconda di quanto è controllato raddoppia o quadruplica il rischio – il maggior rischio legato al fumo. «Tra l’altro alcuni studi fanno pensare che il fumo renda più difficile tenere sotto controllo la glicemia anche nelle persone con diabete di tipo 1», spiega Vincenzo Zagà, Vicepresidente della Società Italiana di Tabaccologia.

Quando si parla di tabagismo non esiste il bianco e il nero (anche se i toni sono piuttosto grigi per tutti): gli effetti dipendono dal numero cumulativo di sigarette fumate nella propria vita che si può misurare con una formuletta che identifica il pack/year (n° medio di sigarette/al giorno moltiplicato per gli anni di fumo diviso 20). Chi accende almeno 20 sigarette al giorno ha un rischio di diabete superiore del 61%, mentre per i fumatori ‘leggeri’ la percentuale di rischio è più alta del 29% rispetto ai non fumatori.

Tutti i danni del tabacco sono infatti dose-dipendenti. Fumare 10 sigarette al giorno è meno peggio che fumarne 20. Smettere di fumare a 40 anni è meglio che smettere a 60 ma anche smettendo a 60 o a 80 si riduce nettamente il rischio.

«Chi fuma (e chi gli sta vicino) aspira un mix di oltre 4 mila sostanze, 60 delle quali sono in grado di provocare tumori negli animali e 11 negli uomini. Una di queste è radioattiva e non di poco», spiega Vincenzo Zagà, Dirigente del Presidio di Pneumotisiologia e Coordinatore Centri Antifumo della Azienda USL Bologna, «si tratta del Polonio 210 uno degli isotopi più radioattivi esistenti in natura. Il limite massimo tollerabile di radioattività da Polonio è una quantità corrispondente a 6,8 miliardesimi di milligrammo. Il Polonio 210 presente in natura ma in forma concentrata nei fertilizzanti è assorbito nei polmoni e la sua azione carcinogena diretta, calcolata sulla radioattività delle sigarette vendute in Italia è pari a quella di 28 radiografie al torace all’anno».

All’azione del Polonio 210 (quello usato si dice dal KGB, per uccidere il giornalista Livtishenko) si aggiunge quella di un altro isotopo presente nel fumo: il Piombo 210 che è scarsamente radioattivo ma, dopo 22 anni in media, si trasforma in Polonio 210 e lo diventa emanando radiazioni alfa. «Forse questa radioattività spiega perché si riscontrano tumori in persone che da vent’anni avevano smesso di fumare e come mai il tumore al polmone che negli anni ’30 era una rarità anche nei fumatori, è diventata una conseguenza ‘classica’ nel dopoguerra, in coincidenza con l’uso dei fertilizzanti chimici in agricoltura», spiega Zagà che dirige la rivista scientifica Tabaccologia.

Come si può ridurre il rischio di tumori (non solo al polmone), delle broncopneumopatie croniche ostruttive e del diabete, per non parlare di infarti e ictus il cui rischio è moltiplicato dall’effetto aterogeno e coagulante del fumo? «Sicuramente fumare sigarette più leggere non serve. Il fumatore compensa il minor contenuto di nicotina fumando di più e con boccate più numerose», ricorda Zagà. Le sigarette elettroniche potrebbero essere una ‘soluzione ponte’. Premesso che ogni sistema e ogni liquido richiede una analisi specifica e che in molti sono state trovate sostanze cancerogene o velenose, sicuramente nel fumo elettronico non c’è catrame, né monossido di carbonio e neppure molte delle 4 mila e più sostanze che si sprigionano dalla combustione delle sigarette tradizionali. Inoltre, cosa molto importante, manca la combustione, in quanto il liquido viene riscaldato con temperature che vanno dai 50 ai 70° C».

Zagà, ritiene inopportuna la scelta del governo di tassare il fumo ‘elettronico’ al pari di quello tradizionale in quanto «potrebbe impedire a molti fumatori di avvicinarsi ad un percorso di disassuefazione. Detto questo, ritengo che in un percorso strutturato di un Centro Antifumo, là dove richiesto per volontà o ritualità consolidata del fumatore, anche la e-cig può trovare un suo impiego di supporto per smettere di fumare».

Decenni di campagne di informazione stanno avendo qualche effetto. Il numero di fumatori diminuisce: erano 11,3 milioni in Italia nel 2014 (il 22% contro il 30% di fine ‘900). Ma negli altri Paesi europei il loro numero scende ancora più velocemente. E il calo si registra più nei maschi che nelle femmine. Nel 1957 solo una donna su 20 fumava e 7 maschi su 10. Oggi fuma una donna su 5 e un maschio ogni 4. Il numero di sigarette per persona scende di poco. La media è 13 al giorno, ma… è la media di Trilussa. Metà dei fumatori lascia 5 euro dal tabaccaio per acquistare il suo pacchetto giornaliero.

«L’aumento del prezzo delle sigarette è un efficace deterrente. Le tasse italiane sui prodotti del tabacco sembrano alte al 58,5%, ma sono inferiori alla media europea che arriva al 70%. Anche il divieto di fumare nei locali e nei luoghi pubblici ha aiutato a ridurre il consumo, e ancora di più ha funzionato la sensibilizzazione sul fumo passivo. Molti fumatori non accendono sigarette in casa e nemmeno nella loro auto», nota Zagà.

La motivazione a smettere quindi non manca. Sono pochi i fumatori che non hanno mai provato a smettere. «A volte risulta difficile farlo senza un aiuto professionale», ammette Zagà, «in quanto il tabagismo è una vera e propria dipendenza fisica dalla nicotina e dall’oggetto-sigaretta ed è classificata dall’OMS come una condizione psichiatrica. Uscirne da soli è possibile ma non è probabile. Occorre una strategia coordinata e personalizzata che comprende informazione, strategie fisiologiche – cerotti o pillole che tengono a bada la dipendenza fisica dalla nicotina – e strategie comportamentali. I Centri Antifumo sono il partner ideale. Purtroppo sono pochi: nemmeno 400 in Italia, 200 dei quali al Nord».