Il diabete è nell’aria
Lancet ha lanciato l’allarme di una possibile correlazione tra alcune sostanze presenti nell’aria inquinata e la resistenza all’insulina nelle persone che finiscono per assorbire tali sostanze respirando. Alcuni recenti studi negli Stati Uniti evidenziano la possibilità che composti chimici come le diossine, il difenil-policloruri, il Ddt e il diclorofenildicloroetilene (Dde), oltre a essere altamente tossici contribuiscono indirettamente all’insorgenza del diabete. Tutti questi inquinanti sono lipofilici (hanno una affinità chimica con le sostanze grasse), sono poco degradabili e soprattutto sono molto diffusi. Se il rischio individuale è molto basso, considerando i livelli di inquinanti che entrano nel metabolismo, sulla popolazione nel suo complesso l’effetto può essere, dicono i ricercatori, “sostanziale”.
La prima analisi sistematica del influsso degli inquinanti sulla insulinoresistenza è stata condotta da un gruppo guidato da Duk-Hee Lee sulla scorta di dati accumulati tra il 1992 e il 2002 dalla National Health and Examination Survey. Lee e colleghi hanno scoperto due cose, entrambe riferibili all’obesità. La prima è che la prevista associazione tra obesità e diabete risulterebbe assente nelle persone che hanno nel loro sangue una bassa concentrazione di inquinanti clorurati. La seconda è che la correlazione tra obesità e diabete aumenta in funzione della crescita dei livelli di concentrazione (questo fatto confermerebbe i risultati di alcune ricerche già svolte in Svezia e Belgio).
Correlazione non significa conferma di un legame diretto, tra inquinamento e diabete, ma Lancet osserva che secondo i tossicologi, la teoria secondo cui alcune sostanze ‘xenobiotiche'(sostanze che entrano nel nostro metabolismo dall’esterno e senza la nostra volontà) possono interferire con il normale metabolismo di zuccheri e grassi ha acquistato molto seguito. Gli studiosi hanno accolto i risultati di Lee e colleghi con una certa inquietudine perché finora sembrava che il rischio-diabete dipendesse essenzialmente dallo stile di vita e alimentazione impostosi nelle nazioni occidentali. Ora viene paventato anche un rischio derivante dall’industrializzazione in senso ancor più generale.