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La malattia va in città

Nel 2008, la percentuale della popolazione mondiale che abita in città ha superato la soglia del 50%. I tassi di urbanizzazione indicano che entro i prossimi dieci anni nella sola Cina, 870 milioni di persone – più della metà della popolazione – abiterà in aree metropolitane o che la capitale del piccolo stato africano del […]

Nel 2008, la percentuale della popolazione mondiale che abita in città ha superato la soglia del 50%. I tassi di urbanizzazione indicano che entro i prossimi dieci anni nella sola Cina, 870 milioni di persone – più della metà della popolazione – abiterà in aree metropolitane o che la capitale del piccolo stato africano del Botswana, Gaborone, passerà da 186 mila a mezzo milione di abitanti entro il 2020. Gli esperti ritengono che l’aumento demografico si concentrerà d’ora in poi sulle zone urbane. Nel 2030 si stima che le città avranno quasi 5 miliardi di abitanti con un aumento di 1,6 miliardi rispetto alle cifre attuali. Nello stesso periodo le campagne perderanno altri 28 milioni di abitanti.
È una transizione che sta avvenendo in modo malsano, caotico e che porta ad ambienti urbani altrettanto malsani. Si tende a credere che la vita di città sia migliore, con più servizi, ma non è affatto così. Almeno non per tutti. Le metropoli che crescono a dismisura significano anche bidonville, favelas, eserciti di senzatetto e un rischio di epidemia e malattia elevatissimo, unito spesso a una quasi totale capacità di intervento da parte degli organi preposti alla cura, alla prevenzione. Un programma delle Nazioni Unite, quello relativo agli insediamenti umani, riferisce che il 43% degli abitanti di nazioni in via di sviluppo come Kenya, Brasile e India e il 78% di nazioni sottosviluppate come Bangladesh, Haiti ed Etiopia, vive nell’inferno delle baraccopoli, spesso in situazioni dove l’approvvigionamento d’acqua è molto difficile. Se le autorità sanitarie mondiali hanno già inserito inquinamento, incidenti, ipertensione e diabete tra i possibili rischi della vita urbana, nelle periferie più povere delle città si annidano pericoli ancora più gravi e immediati, in particolare le pandemie e tassi elevatissimi di mortalità infantili.
L’unico modo per cercare di affrontare il problema è analizzarlo, raccogliere sempre più dati e informazioni, studiare interventi ad hoc sulla base dei risultati. Ma soprattutto cercare di imporre rigorose politiche di governo e sostegno dell’immigrazione interna.