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Mangiar buono, pulito e giusto

Rimettendo l'alimentazione al centro e puntando a un cibo sano, pulito e giusto miglioriamo il pianeta e la nostra salute. Perché l'ambiente interno del corpo e quello esterno del pianeta sono compromessi da una filiera agricolo-industriale distorta. Intervista a Silvio Barbero, di Slow Food

Da alcuni anni non è rarissimo vedere il viso simpatico e gioviale di Silvio Barbero torreggiare nei convegni di medici, soprattutto diabetologi. Il Vice presidente nazionale di Slow Food insieme al presidente Carlo Petrini ha infatti promosso una collaborazione sempre più stretta con alcune Società scientifiche per uno scambio reciproco di opinioni e per valutare iniziative comuni nel campo della prevenzione. Diabete no grazie è una di queste iniziative. Sulla base di una relazione tenuta da Silvio Barbero al convegno Cibus sanus in corpore sano organizzato da Slow Food e dalle sezioni regionali di Amd e Osdi, abbiamo tratto questo riassunto sotto forma di intervista centrato intorno alla formula che riassume l’obiettivo di Slow Food

Slow Food ha riassunto i suoi obiettivi nella rivendicazione di un cibo, inteso come alimentazione, sempre di più ‘buono, pulito e giusto’. Buono in italiano è un aggettivo che si riferisce sia a qualità sensoriali assolute (un buon vino) sia a qualità morali assolute (un buon amico) sia a qualità relative (una buona abitudine). In quale senso utilizzate l’aggettivo?
Sono davvero due significati così diversi? Riflettiamo: che il cibo sia ‘buono’ non è solo la rivendicazione del gourmet. È una questione di salute. È dimostrato che le persone che mangiano troppo non sanno riconoscere e apprezzare il sapore, la fragranza e l’odore del cibo che mangiano. C’è un rapporto stretto fra la salute e l’educazione al gusto. Riconoscere la qualità degli alimenti non è edonismo. È una capacità che l’uomo ha sviluppato per alimentarsi nel modo più salutare e che stiamo perdendo. Allontanati dalle sorgenti stesse della produzione alimentare, interrotte le catene di trasmissione familiari, disorientati dai messaggi pubblicitari, stiamo perdendo la capacità di riconoscere e quindi di cercare ciò che è ‘buono’, e quindi adeguato a noi stessi. Stiamo perdendo la capacità di percepire la qualità attraverso i valori sensoriali. Questo è un problema serio che andrebbe affrontato lavorando con i bambini e i giovanissimi. Perché le abitudini e le valorizzazioni che ci portiamo dietro per tutta la vita sono quelle che nascono a casa. Ricordate nel bel cartoon Ratatouille il cattivissimo critico di ristoranti Anton Ego il quale – recatosi nel locale di Ratatouille per ‘distruggerlo’ con una sua recensione – appena assaggia un piatto si ricorda della sua infanzia e lo gusta con entusiasmo? Che cosa ricorderanno i nostri figli da grandi? I piatti pronti surgelati?

Il secondo aggettivo ‘pulito’ si riferisce immagino alla richiesta di una produzione rispettosa dell’ambiente…
Di ogni ambiente: interno ed esterno. Noi di Slow Food abbiamo iniziato a frequentare i medici che si occupano di metabolismo dopo aver approfondito i temi che si riferiscono all’impatto ecologico degli alimenti e della loro lavorazione e trasformazione. Proprio perché venivamo ‘dall’esterno’ ci ha colpito l’analogia fra i danni che il cibo ‘non pulito’ crea nel ‘grande ambiente’ del pianeta o del territorio e nel ‘piccolo ambiente’ del metabolismo. Tra ciò che non è sostenibile per la Terra e quello che non è sostenibile per il corpo. Non è un caso. La lavorazione industriale degli alimenti, la promozione pubblicitaria non è una novità. Ma cosa è successo negli ultimi anni? In grande sintesi il liberismo globale ha permesso una colossale divisione del lavoro internazionale. Produzione e consumo di alimenti si sono allontanate. Produce solo chi riesce a farlo al minor prezzo e chi può produce solo quello. Chi non riesce consuma. Si sono create lunghe catene. Chi produce si specializza: coltiva solo un alimento, solo una varietà. In questo modo perdiamo in biodiversità che è la biblioteca del pianeta, depauperiamo le risorse del suolo, cancelliamo ricette e tradizioni e diveniamo tutti dipendenti dai mercati globali. In molti Paesi i contadini non possono permettersi di mangiare ciò che loro stessi coltivano. Questo sistema d’altra parte ‘funziona’ e permette di portare sulle tavole di tutte le aree avanzate del pianeta non-cibi standardizzati a prezzi tali da mettere fuori mercato la concorrenza locale. E la desertificazione aumenta. Anche perché costano poco, di questi alimenti si tende a fare un uso eccessivo. A questo si aggiunge la tendenza dell’industria a compensare una qualità mediocre con la quantità: una buona parte degli alimenti del commercio contiene troppo sale, il resto troppo zucchero. I medici se ne sono accorti e iniziano a studiare le cause ‘esterne’ dei disordini metabolici che rilevano nei loro pazienti. E qui ci incontriamo con i medici.

L’ultimo aggettivo, ‘giusto’, mi sembra il più semplice da capire. Siete contro lo sfruttamento dei lavoratori agricoli.
Qualcosa di più. Dire che il cibo deve essere ‘giusto’ non significa solo che il contadino o l’allevatore, poveretto, devono guadagnare qualcosina. In questo c’è una differenza tra le nostre iniziative e quelle iniziative ‘solidali’. Noi crediamo che il mercato possa avere un ruolo nel valorizzare chi nella filiera alimentare propone qualcosa di diverso. Con i ‘presidi’ Slow Food ha voluto riconoscere e far conoscere la coltivazione o l’allevamento di certe specie, determinate modalità di lavorazione che erano andate perse. Il mercato può premiare queste scelte imprenditoriali in modo giusto. Più in generale noi vogliamo rimettere l’alimentazione al centro della nostra vita come è naturale che sia e in contrasto con un mezzo secolo in cui questo aspetto è diventato solo un piccolo settore del nostro budget o del listino di borsa. Fare questo significa premiare i produttori di qualità e tagliare i costi impropri come quelli legati alla non stagionalità o al trasporto di alimenti da un capo all’altro del pianeta. Il cibo deve essere il più possibile ‘vicino’ a noi in termini geografici e culturali, dobbiamo rispettare le varietà spesso condizionate dalle caratteristiche del territorio e la stagionalità. Tra l’altro questo ci può aiutare a spendere meno perché è vero: esiste il rischio che mangiare in modo sano divenga un lusso per pochi.