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Diabete No Grazie

Olio di palma sì, olio di palma no… this is the question!

Olio di palma sì, anzi no… Fa male, forse, non si sa… Uno dei tormentoni degli ultimi mesi è stato appunto il suo utilizzo nell’industria alimentare. Ma l’olio di palma fa così male come si pensa? Giuseppe Marelli ha partecipato alla realizzazione di un documento frutto del lavoro di società scientifiche italiane, di ambito medico e nutrizionale, tra le quali AMD. E ci dice che…

In occasione della pubblicazione di un “punto di vista” sul JAMD abbiamo intervistato Giuseppe Marelli, Responsabile UOSD Malattie Endocrine del Ricambio e della Nutrizione dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Vimercate (MB), in merito all’utilizzo dell’olio di palma nell’industria alimentare. Fa così male come si pensa?

A cura di Lucia Briatore


Giuseppe Marelli, Responsabile UOSD Malattie Endocrine del Ricambio e della Nutrizione dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Vimercate (MB)

Perché l’olio di palma è molto usato dall’industria alimentare?
Si tratta di un olio che si caratterizza per la facile coltivazione della pianta e per la resa elevata – fino al 90% del peso totale della polpa. Ha quindi costi contenuti, specie rispetto ad altri grassi vegetali saturi, come il burro di cacao e l’olio di cocco. Il frazionamento dell’olio di palma consente di ottenere prodotti con maggiori o minori caratteristiche di fluidità, destinati a usi diversi: la frazione meno solida viene in genere utilizzata per creme e ripieni, quella più solida per dolci lievitati e prodotti da forno dolci e salati. Tali caratteristiche lo rendono di notevole interesse per le aziende alimentari. Inoltre, contiene quei grassi saturi che sono molto utili per i processi industriali: possiedono una notevole stabilità, migliorano la conservazione dei cibi che lo contengono e la qualità organolettica dei prodotti, prevengono l’irrancidimento.

Che tipo di grassi sono contenuti nellolio di palma?
Oltre ai grassi saturi, troviamo piccole quantità di acidi grassi a corta catena – acido laurico, caprilico e caprico – ed è presente anche una consistente quota di insaturi, in particolare di acido oleico (39%) e di acido linoleico, un polinsaturo della serie omega-6 (10%). Nel complesso vi è quindi un buon equilibrio, circa uno-a-uno, tra i saturi e gli altri componenti mono- e polinsaturi che posseggono, come è noto, un ruolo favorevole sul piano nutrizionale. Tuttavia, proprio a causa dell’alto contenuto in acidi grassi saturi (fino al 45%-55% degli acidi grassi totali) il suo uso è stato oggetto negli ultimi tempi di un dibattito mediatico intenso, specie in Italia.

Sembra di capire che il problema principale dell’olio di palma siano gli acidi grassi saturi. Cosa dicono le linee-guida al riguardo?

Le linee-guida internazionali pongono grande accento sui grassi saturi. Le raccomandazioni nutrizionali suggeriscono attualmente che l’apporto di grassi non debba superare il 30-35% delle calorie totali, con un 10% massimo riservato ai grassi saturi. Anche la quarta revisione dei LARN per l’apporto calorico da grassi totali considera l’intervallo 20-35% quale riferimento idoneo a mantenere lo stato di salute senza compromettere l’adeguata assunzione degli altri macro- e micronutrienti. Le recentissime linee-guida statunitensi 2015-2020 ribadiscono che il range accettabile per la quota calorica da grassi sia compreso tra il 25 e il 35%, sempre mantenendo i saturi al di sotto del 10%.

Ma quanto olio di palma si consuma?
I prodotti da forno rappresentano una fonte significativa di saturi da olio di palma, specie nella fascia d’età fino ai 10 anni e negli adolescenti, fornendo rispettivamente il 9,5 e il 9,3% dei saturi totali. L’apporto procapite di saturi da olio di palma stimato dall’Istituto Superiore di Sanità sarebbe pari a 3 g/die negli adulti e a 4,7 g/die nel bambino. Dall’esame delle tabelle di composizione riportate sulle confezioni degli alimenti emerge che l’olio di palma rappresenta circa il 90% dei grassi totali nelle merendine, il 70% nei biscotti e sensibilmente meno (circa il 25%) nel cioccolato e nel gelato, dove prevalgono il burro di cacao e l’olio di cocco.

A proposito: gli italiani mangiano bene o male?
In Italia la più recente indagine nutrizionale campionata è quella condotta nell’ambito del progetto INRAN-SCAI, del 2005-2006, da cui si evince che l’apporto totale di grassi nella nostra popolazione è leggermente eccedente rispetto alle raccomandazioni, sia per i grassi totali (36%) sia per i saturi (11%), con un consumo maggiore di carni rosse e formaggi rispetto a legumi e yogurt.

E’ sempre vero che le abitudini alimentari influenzano la salute e soprattutto gli eventi cardiovascolari? Ci sono dati scientifici in merito?
In generale: siamo quello che mangiamo… Molti studi scientifici hanno posto nuovamente attenzione alla relazione tra l’apporto di saturi nell’alimentazione e la mortalità totale, per tutte le cause. Secondo una metanalisi pubblicata nel 2015, la correlazione tra livelli di consumo di saturi e mortalità per tutte le cause è nulla, mentre le lievi oscillazioni della mortalità e della morbilità coronarica e cardiovascolare attorno alla linea di neutralità, associate alle variazioni dell’apporto di saturi alimentari, non raggiungono mai la significatività statistica. Il maggior effetto negativo a livello cardiovascolare deriva invece dai grassi “trans”. La valutazione degli effetti diretti dell’olio di palma sulla salute cardiovascolare e sulla mortalità per tutte le cause è più complessa, per la sostanziale assenza di dati specifici al proposito.

Correlazione fra olio di palma e diabete?
L’olio di palma ha effetti metabolici sovrapponibili a quelli di qualsiasi olio o grasso solido ricco di acidi grassi saturi. Secondo alcuni studi, la sensibilità all’insulina verrebbe ridotta da una dieta ricca in grassi saturi, con un peggioramento dell’insulino-resistenza.

Quindi lolio di palma non fa così male come si pensa?
Dall’esame della letteratura non emergono evidenze dirette o indirette che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia effetti sul rischio cardiovascolare e sulla salute in generale differenti dagli altri grassi con composizione simile. In ogni caso, esso è costituito per il 50% da acidi grassi saturi: pertanto il suo consumo eccessivo, come quello di altri grassi con composizione simile va evitato.

Valgono dunque le raccomandazioni per il consumo di alimenti ricchi di grassi…
Indipendentemente dalla presenza di olio di palma, la raccomandazione a ridurre il consumo di alimenti ricchi di grassi va considerata sempre utile, soprattutto in età pediatrica. Una sana alimentazione, con un adeguato apporto di fibra e legumi, facilita il raggiungimento dell’obiettivo di ridurre le calorie da grassi saturi a meno del 10% dell’apporto energetico totale, come indicato dalle linee-guida.

I cibi senza olio di palma possono essere una valida alternativa ai cibi industriali “tradizionali”?
La comunicazione semplificata e ridotta all’etichetta “senza” è potenzialmente negativa. Il consumatore è portato a considerare il prodotto “palm free” di migliore qualità, trascurando il fatto che la sostituzione dell’olio di palma può portare all’uso di altri grassi saturi, come burro di cacao, olio di cocco e di palmisti, o saturati (le “vecchie” margarine), tutti con potenziali svantaggi, sia per i costi sia per l’eventuale diluizione con altri acidi grassi saturi o trans.

Consigli pratici?
E’ sempre utile leggere le etichette dei prodotti alimentari e verificare il contenuto di acidi grassi saturi, indipendentemente dalla loro origine.

Per approfondire?
Con l’obiettivo di raccogliere e discutere in modo evidence based l’argomento, la Nutrition Foundation of Italy ha organizzato e coordinato un simposio cui hanno partecipato esperti del settore e un’ampia rappresentanza di società scientifiche italiane, di ambito medico e nutrizionale, tra le quali AMD. Nel documento finale l’attenzione è stata posta sugli aspetti nutrizionali e tecnologici dell’uso dell’olio di palma. Tale documento, per una consultazione più dettagliata, è disponibile qui.