Proposta una legge per regolare gli acquisti di impulso
Una piccola ricerca potrebbe avere conseguenze davvero rivoluzionarie. Lo studio si chiama Candy at the cash register, ‘Caramelle alla cassa’. Lo studio ha rilevato come alimenti per nulla ‘necessari’ e noti per essere insalubri vengano acquistati più facilmente se collocati in luoghi dove l’attenzione cala e l’esposizione è più lunga come ad esempio le casse di supermercati e bar.
In realtà la scienza arriva buona ultima perché le aziende dolciarie sanno da tempo benissimo che l’acquisto di impulso (ma sarebbe meglio chiamarlo acquisto irrazionale) è la loro principale modalità per vendere prodotti cari, per nulla utili all’organismo e anzi insalubri.
Un editoriale della autorevole New England Journal of Medicine propone normative tese a definire quali beni possono e quali non possono essere collocati alla cassa o in aree strategiche del punto vendite e arriva a proporre ci concentrare gli alimenti meno salubri in aree apposite del negozio, aree che devono essere raggiunte con una decisione cosciente un po’ come accade per gli alcolici.
Questo studio e l’editoriale che lo accompagna sono importanti perché svelano un mito. L’economia di mercato infatti parte da un assunto: le decisioni di acquisto e di vendita sono libere ed effettuate in piena coscienza e con un sufficiente livello di informazione. Col tempo sono state previste delle eccezioni: i bambini per esempio, i fumatori o gli acquirenti di alcol. Anche in medicina e nei prodotti finanziari il dogma liberista è stato corretto. Non così negli alimentari. Il consumatore è considerato perfettamente cosciente di quello che fa.
In realtà le aziende sanno benissimo che questo non è vero. Il grado di controllo di un consumatore varia da un momento all’altro della giornata e perfino nel corso del tempo che passa in un supermercato. Per questo le merci sono esposte secondo una certa sequenza partendo da quelle ‘necessarie’, costose e di scarso volume (salumi formaggi e yogurt) passando per quelle necessarie e di volume (pasta e biscotti) e andando via via verso quelle più voluttuarie man mano che l’attenzione cala fino ad arrivare all’acquisto di impulso fatto nella cosiddetta testata (il lato fra un corridoio e l’altro) e alle casse. Fa eccezione la frutta e verdura che per motivi di prestigio e di immagine alcuni supermercati mettono all’inizio.
Il consumatore non riesce a mantenere per tutto l’itinerario di acquisto la giusta motivazione e il giusto grado di controllo cosciente su quello che fa e finisce per acquistare cose che non avrebbe voluto comprare.
Per queste ragioni la proposta della autorevole rivista è più rivoluzionaria di quel che sembra. Si tratta di difendere la collettività dalle astuzie del marketing. Ma non solo. Si tratta di ammettere che l’acquisto di alimenti insalubri non è affatto una ‘libera scelta’ dell’individuo ma la conseguenza di una lotta impari fra la parte di noi che cerca di seguire impulsi superiori e razionali e la parte (sapientemente titillata dalle aziende) che tende alla soddisfazione di impulsi elementari.
Chi vincerà? Fino a ieri non ci sarebbe stata gara: le aziende aggrappate all’assunto liberista del ‘adulto che sa perfettamente quello che vuole’. Oggi che il liberismo è in crisi su molti fronti e che gli Stati si accorgono dei costi esternalizzati alla collettività (diabete obesità infarti etc.) l’esito è meno scontato.
Candy at the Cash Register — A Risk Factor for Obesity and Chronic Disease
Deborah A. Cohen, M.D., M.P.H., and Susan H. Babey, Ph.D.
N Engl J Med 2012; 367:1381-1383October 11, 2012DOI: 10.1056/NEJMp1209443