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Un dietista mi può aiutare

Si chiamano ‘dietiste’, declinato al femminile perché si tratta in grande maggioranza di donne. A differenza dei dietologi non sono laureate in Medicina, ma hanno una laurea, conseguita presso la facoltà di Medicina, in Dietistica, sono esperte in alimentazione e soprattutto nel dialogo con la persona che vuole migliorare le proprie abitudini alimentari.

Molti Team diabetologici hanno a disposizione un dietista che segue la persona con diabete. E chi non ha il diabete, anzi, cerca l’assistenza di esperti per evitarlo cosa può fare? «Dipende dall’organizzazione delle singole Asl», spiega Lucina Corgiolu, dietista presso il Team del Servizio di diabetologia dell’Ospedale San Giovanni di Dio della Asl 8 di Cagliari. In alcune realtà il servizio dietetico è accessibile con una normale prescrizione del medico di medicina generale. Si telefona e si prende appuntamento. In altre Asl invece il servizio dietetico è ‘interno’ e vi si può accedere solo attraverso un altro Servizio, o per accesso diretto per pazienti specifici come per esempio in diabetologia.
E per chi è disposto a pagare? «Non mancano certo dietisti che lavorano come liberi professionisti», commenta Lucina Corgiolu del Direttivo Nazionale dell’ANDID (Associazione Nazionale Dietisti); «sicuramente il fatto che rientrino in una struttura ospedaliera garantisce un certo grado di aggiornamento e di specializzazione nel campo del diabete e delle malattie metaboliche. Nonostante la legge lo preveda, non mi pare che in nessuna Asl sia stata attivata la possibilità di accedere alla consulenza dietistica in regime di intra moenia».
Burocrazia a parte, cosa può fare un dietista per aiutare la persona che vuole prevenire il diabete? «Diciamo subito cosa non fa un bravo dietista», risponde Lucina Corgiolu: «non spara a zero sulle abitudini alimentari della persona che ha davanti, non consegna una dieta prestampata, non impone le ‘sue’ regole». Questo non per gentilezza ma semplicemente perché non serve a nulla. Se il problema è dimagrire molto in poco tempo a qualsiasi prezzo, qualunque forma di restrizione alimentare può servire. «Ma il nostro obiettivo, soprattutto se si parla di prevenzione», continua la Corgiolu, «è migliorare le abitudini alimentari della persona per sempre, non stravolgerle per due o tre settimane. Una dieta ‘imposta dall’alto’ potrà essere seguita per qualche tempo ma non verrà mai fatta propria da chi la riceve».
La ‘visita’ del dietista consiste soprattutto in una accuratissima anamnesi nutrizionale, in pratica tantissime domande su cosa mangia la persona, dove, come cucina, quali piatti valorizza, quali invece non le piacciono. Su questa base il dietista cerca poi di lavorare non sui divieti o sugli obblighi ma sulle frequenze. Mettere in tavola più spesso i piatti sani che il paziente predilige, trovare modi più adeguati di cucinare quelli meno salubri ma ai quali il paziente non si sente di rinunciare. Ciascuno di noi, del resto, ha il suo cibo ‘totem’, una sorta di coperta di Linus nutrizionale. Ovviamente si tratta quasi sempre di alimenti molto dolci o molto grassi. Proscriverli è inutile, tanto vale dar loro un ruolo di ‘premio’.
Premio per cosa? «Un buon dietista deve saper definire obiettivi realistici. Per una persona che vuole prevenire il diabete e altre malattie cardiovascolari, perdere cinque-sette chili in sei-nove mesi può essere un obiettivo importante. Se è solo sovrappeso, basta per rientrare nella norma, se invece va verso l’obesità, si tratta di continuare con questo ritmo ancora per un anno o due. Ma soprattutto il peso raggiunto va mantenuto. Tutte le ‘diete’ funzionano a breve termine, ma difficilmente riescono a conservare i risultati raggiunti», conclude Lucina Corgiolu.