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Effetti del sitagliptin sugli outcome cardiovascolari in pazienti affetti da diabete mellito tipo2

21 settembre 2015 (Congresso Medico) – Il buon compenso glicemico nei pazienti con diabete mellito tipo 2 (DMT2) riduce il rischio di complicanze microvascolari. Molti sono i farmaci autorizzati per la cura del DMT2 ma per alcuni di essi sono stati sollevati questioni riguardo la loro sicurezza cardiovascolare a lungo termine. L’Agenzia Regolatoria Internazionale dei Farmaci ha risposto richiedendo ai nuovi agenti ipoglicemizzanti orali non solo la dimostrazione di efficacia ipoglicemizzante, ma anche la non associazione con un aumento significativo del rischio di eventi avversi cardiovascolari maggiori.

Sitagliptin è un inibitore dell’enzima DPP4, deputato alla degradazione del GLP1. La maggiore disponibilità di questo ormone intestinale consente, nei pazienti con DMT2, una riduzione dei livelli ematici di glucosio sia attraverso l’inibizione della produzione di glucagone sia attraverso l’aumento della produzione di insulina endogena. Due trial condotti con altri inibitori del DPP4 non hanno dimostrato un aumento di eventi cardiovascolari maggiori ma hanno sollevato dubbi circa la sicurezza proponendo un possibile elevato rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco; dato in parte supportato successivamente dai risultati di una metanalisi che ha mostrato un aumentato rischio di ospedalizzazione del 25% in pazienti in terapia con questi farmaci (1,2).

Al fine di definire il rischio correlato con l’utilizzo di sitagliptin, il gruppo di studio TECOS (Trial Evaluating Cardiovascular Outcomes with Sitagliptin) ha condotto un trial (3) per valutare la sicurezza cardiovascolare a lungo termine di sitagliptin aggiunto alla terapia convenzionale in pazienti con DMT2 e rischio cardiovascolare elevato rispetto a pazienti in sola terapia convenzionale. Si tratta del più lungo studio di safety cardiovascolare mai condotto con un ipoglicemizzante orale, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco. Sono stati coinvolti 14.735 pazienti reclutati in 38 paesi, fra cui l’Italia (che ha contribuito con 192 pazienti). L’endpoint primario era composito ed era definito come il tempo alla prima occorrenza di uno dei seguenti eventi: morte per cause cardiovascolari, infarto o ictus non fatali, o ospedalizzazione per angina instabile.

La mediana del follow-up è stata di 3 anni e i valori di HbA1c sono risultati simili nei due gruppi con una riduzione nel gruppo sitagliptin di 0,3% rispetto a placebo. Complessivamente, l’endpoint primario è stato raggiunto in 939 pazienti trattati con sitagliptin (11,4%) e in 851 trattati con placebo (11,6%) nell’analisi intention-to-treat (ITT) (HR = 0,98; IC 95% 0,89-1,08; p <0,001, altamente significativa per non inferiorità).

Le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco nei due gruppi sono risultate sovrapponibili (HR 1,00; IC 95%, 0,83-1,20;p = 0,98) così come per angina instabile (HR 0,90; IC 95%, 0,70-1,16; p = 0,42). Non vi erano inoltre differenze in termini di casi di pancreatite acuta (p = 0,07) e cancro pancreatico(p = 0,32).

In conclusione, i risultati, in termini di safety, di questo studio condotto su una popolazione a rischio elevato rassicurano in merito all’utilizzo di questi farmaci anche in pazienti fragili.

 

1) N Engl J Med 2013;369:1317-26

2) Lancet Diabetes Endocrinol 2015;3: 356-366

3) N Engl J Med201516;373:232-42

PubMed


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