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Ertugliflozin ed outcome cardiovascolari: lo studio VERTIS-CV

Punti chiave

Domanda: Quali sono gli effetti cardiovascolari di ertugliflozin, un inibitore del cotrasportatore sodio-glucosio 2, in pazienti con diabete tipo 2 a rischio cardiovascolare molto alto?

Risultati: In questo studio randomizzato e controllato con placebo, in doppio cieco, la terapia con ertugliflozin, alla dose di 5 o 15 mg, si è dimostrata non inferiore al placebo in termini di sicurezza cardiovascolare, ma non ha dimostrato superiorità in termini di riduzione dell’incidenza di outcome cardiovascolari e renali.

Significato: A differenza di quanto avvenuto in precedenti studi cardiovascolari con inibitori di SGLT2, la terapia con ertugliflozin non ha determinato, in una popolazione di pazienti con diabete tipo 2 a rischio cardiovascolare molto alto, una riduzione significativa di eventi cardiovascolari maggiori e dell’outcome composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso cardiaco.


A cura di Eugenio Alessi

19 ottobre 2020 (Gruppo ComunicAzione) – Precedenti ricerche che hanno valutato gli effetti degli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio tipo 2 (SGLT2i) su outcome cardiovascolari e renali hanno dimostrato benefici consistenti in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari in pazienti con diabete tipo 2 a rischio cardiovascolare molto alto e in termini di riduzione di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e progressione del danno renale anche in pazienti con diabete tipo 2 a rischio meno elevato (recentemente anche in soggetti non diabetici).

Ertugliflozin è un SGLT2i da poco disponibile negli Stati Uniti e in Europa e lo studio VERTIS-CV, recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, aveva l’obiettivo di valutarne gli effetti su outcome cardiovascolari e renali. Si tratta di uno studio randomizzato e controllato con placebo, in doppio cieco, in cui sono stati reclutati 8246 pazienti con diabete tipo 2 ed elevato rischio cardiovascolare (malattia aterosclerotica coronarica, cerebrale o periferica accertata), randomizzati con rapporto 1:1:1 a ricevere ertugliflozin 5 mg, 15 mg o placebo, in aggiunta alla terapia standard, con follow-up medio di 3,5 anni. L’outcome primario era il classico composito di morte cardiovascolare, IMA non fatale e ictus non fatale, outcome secondari “chiave” erano un composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso cardiaco, la mortalità per cause cardiovascolari e un composito “renale” (morte per cause renali, necessità di terapia sostitutiva, raddoppio dei livelli di creatinina). Nell’eventualità che la non inferiorità fosse stata dimostrata, sarebbe stata testata la superiorità per gli outcome secondari “chiave”.

L’età media dei pazienti reclutati era di 64,4 anni, con durata media del diabete di 13,0 anni e HbA1c media dell’8,2%. Il 75,9% dei pazienti aveva storia di malattia coronarica, il 22,9% di malattia cerebrovascolare, il 1,7% di arteriopatia periferica e il 23,7% di scompenso cardiaco.

L’outcome primario si è verificato nell’11,9% dei pazienti nei gruppi ertugliflozin e nell’11.9% dei pazienti nel gruppo placebo (HR 0,97, IC 95% 0,85-1,11; p <0,001 per non inferiorità). L’outcome composito morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso cardiaco si è verificato nell’8,1% dei soggetti nei gruppi ertugliflozin e nel 9,1% dei pazienti del gruppo placebo (HR 0,88, IC 95% 0,75-1,03; p = 0,11 per superiorità). L’HR (ertugliflozin vs. placebo) era 0,92 (IC 95% 0,77-1,11) per la mortalità cardiovascolare e 0,81 (IC 95% 0,63-1,04) per l’outcome composito renale, in entrambi i casi non significativo per superiorità. L’HR per ospedalizzazione per scompenso cardiaco, outcome secondario non “chiave” e non testato statisticamente, era 0,70 (IC 95% 0,54-0,90), quello per mortalità per tutte le cause era 0,93 (IC 95% 0,80-1,08). Quanto agli eventi avversi, vi era un maggior numero di infezioni genitourinarie nei gruppi ertugliflozin rispetto al gruppo placebo, senza nessuna differenza per quanto riguarda l’incidenza di IRA, ipovolemia, fratture e ipoglicemie severe. Amputazioni distali si sono verificate nel 2,0% dei pazienti nel gruppo 5 mg, nel 2,1% dei pazienti nel gruppo 15 mg e nell’1,6% dei pazienti nel gruppo placebo. La prevalenza di chetoacidosi diabetica è stata molto bassa (7 casi nel gruppo 5 mg, 12 casi nel gruppo 15 mg, 2 casi nel gruppo placebo).

In conclusione, la terapia con ertugliflozin, in aggiunta alla terapia standard, si è dimostrata non inferiore al placebo in termini di incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, in una popolazione di pazienti con diabete tipo 2 a rischio cardiovascolare molto alto. L’incidenza del composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso cardiaco e dell’outcome composito renale non differiva significativamente fra i gruppi in studio. Non vi è una chiara spiegazione sugli esiti differenti rispetto a quanto osservato in precedenti trials con SGLT2i. La popolazione in studio era simile a quella a rischio molto alto studiata nei precedenti trial (es. EMPAREG) e gli effetti osservati in termini di inibizione di SGLT2, riduzione di HbA1c, peso corporeo e pressione sistolica con ertugliflozin sono in linea con quelli osservati per le altre molecole della classe. Una possibile ipotesi, avanzata dagli autori, potrebbe essere la sempre maggiore aggressività, negli ultimi anni, delle terapie di prevenzione cardiovascolare secondaria e l’uso più diffuso di altri ipoglicemizzanti con provati benefici cardiorenali, il che avrebbe reso più difficoltoso il raggiungimento della significatività, pur in presenza di un trend favorevole, anche se non si può escludere a priori che sottili differenze tra i farmaci della classe si traducano in outcome diversi. L’ospedalizzazione per scompenso cardiaco era un outcome secondario, la cui significatività non è stata testata (per gerarchia), ma l’HR e l’intervallo di confidenza erano assolutamente in linea con quanto osservato nei precedenti studi con altri SGLT2i, confermando ancora una volta l’efficacia di questa classe di farmaci su questo aspetto. Gli eventi avversi osservati erano in linea con quanto atteso per questo tipo di farmaci.


N Engl J Med 2020 Oct 8;383(15):1425-35

PubMed


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