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La gestione dell’iperglicemia nel paziente ospedalizzato in area non critica: è tempo di rileggere la letteratura

Punti chiave

Domanda: Quali evidenze supportano la gestione dell’iperglicemia nel paziente ospedalizzato in area non critica?

Risultati: Nel 2012 la Endocrine Society ha pubblicato delle linee-guida specifiche sulla gestione dell’iperglicemia in questo setting assistenziale. A 10 anni di distanza è stata pubblicata una revisione sistematica degli studi che supportano le indicazioni da applicare nella pratica clinica.

Significato: Negli ultimi anni il corpo di evidenze di elevata qualità sulla tematica specifica è andato via via irrobustendosi, e in contemporanea il crescente uso della tecnologia nella gestione del diabete mellito nei soggetti insulino-trattati (CGM, CSII) e l’uso sempre più esteso di nuove classi di ipoglicemizzanti hanno indotto gli autori del lavoro a rivedere le evidenze disponibili a supporto delle linee-guida già pubblicate su questo peculiare setting di gestione dell’iperglicemia. Il gap tra le evidenze nella gestione dei pazienti in area critica, già solide da anni, e non critica, a oggi meno brillanti in termini di qualità degli studi, è andato via via colmandosi, rendendo più fondati gli atteggiamenti assistenziali in ambito diabetologico nel paziente ospedalizzato non critico.


A cura di Fabrizio Diacono

27 giugno 2022 (Gruppo ComunicAzione) – Si stima che il 30% dei soggetti ospedalizzati presenti iperglicemia o per storia nota di diabete o per primo rilievo di una glicemia a digiuno >140 mg/dl durante la degenza. Visto l’impatto su mortalità e tempi di dimissione, la gestione dell’iperglicemia è un ganglio come noto cruciale durante i ricoveri ospedalieri. Studi precedenti con campioni considerevolmente numerosi, i più osservazionali e condotti in area critica, hanno posto come obiettivo livelli di glicemia tra 100 e 180 mg/dl al fine proprio di minimizzare mortalità e durata della degenza. L’implementazione di protocolli da applicare sistematicamente a tale riguardo ha spinto diverse società medico-scientifiche a redigere linee-guida specifiche; tra esse, la Endocrine Society che, raccolte le evidenze disponibili, già nel 2012 individuava 10 punti chiave su cui focalizzare le proprie indicazioni. Recentemente è stato pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism un aggiornamento della letteratura disponibile su ciascuno dei 10 punti.

Sono stati individuati 94 studi condotti su pazienti ricoverati in area non critica (i più RCT) di buon rigore ma con campioni molto poco numerosi, da includere nella revisione della letteratura. La maggioranza su persone con diabete tipo 2, pochi con diabete di tipo 1 e in molti studi non veniva specificata la classificazione.

I risultati sono stati i seguenti, per i punti chiave di maggior interesse:

  • Nel confronto tra monitoraggio capillare del glucosio e CGM, i pazienti con CGM avevano livelli di glucosio medi inferiori e una maggiore possibilità di individuare fenomeni ipoglicemici.
  • L’uso dell’insulina NPH, spesso utilizzata da sola o in aggiunta a regimi basal-bolus al fine di minimizzare l’iperglicemia da corticosteroidi, ha dimostrato di ridurre i livelli di glicemia media ma di non portare a una riduzione della durata di degenza. Allo stesso tempo non si è osservato un aumento significativo dei fenomeni ipoglicemici quando utilizzata.
  • In due studi veniva confrontato l’uso di microinfusore e terapia insulinica multiniettiva (MDI), risultando il CSII non vantaggioso in termini di numero di episodi di iper- o ipoglicemia. In uno dei due studi emergeva un minor rischio di ipoglicemia severa in terapia insulinica con microinfusore.
  • L’educazione terapeutica durante la degenza risultava associata a migliori livelli di emoglobina glicata a 3 e 6 mesi dalla dimissione e una minor frequenza di riospedalizzazione. Non aveva impatto invece sulle tempistiche dei ricoveri.
  • L’uso durante la degenza di GLP-1RA o DPP4i in confronto alla terapia insulinica ha dimostrato di produrre, a fronte di livelli di glicemia media comparabili, un minor rischio di fenomeni ipoglicemici. Ma se da una parte gli eventi avversi gastrointestinali associati a uso di GLP-1RA erano rilevanti pur non producendo un prolungamento delle degenze medie, l’uso dei DPP4i si associava a tempi di ricovero più lungi se confrontati con la terapia insulinica.
  • Il counting dei carboidrati fatto dai pazienti durante il ricovero non aveva alcun impatto su tutti gli outcome considerati.
  • Il regime basal bolus + boli correttivi o sola basale + boli correttivi confrontati con la gestione dell’iperglicemia con soli boli correttivi portava a una riduzione della glicemia media, ma a fronte di un aumentato rischio di fenomeni ipoglicemici senza modificazioni dei tempi di ricovero.

La revisione della letteratura presentata dagli autori, con buona dote di sintesi e chiarezza, è caratterizzata da un quadro esaustivo sulle evidenze sull’argomento specifico che sono, seppur crescenti, ancora non numerosissime, difformità nei diversi disegni di studio, con campioni limitati. Dunque, gli stessi autori allertano sulla difficoltà a generalizzare le conclusioni tratte sulle diverse tematiche affrontate.

Posta tale premessa metodologica, vi sono alcuni spunti di interesse. L’uso della tecnologia applicata al monitoraggio glicemico, per quanto desumibile dagli studi, sembra possa fare ingresso con beneficio nei reparti di area non critica, pur ciò inducendo una riflessione sul costo-efficacia dell’istruzione del personale medico e infermieristico (nella quasi totalità non dedicati alla diabetologia) al corretto uso della tecnologia stessa. L’uso delle incretine, che ha così notevolmente impattato sulla cura delle persone con diabete nel setting della cronicità, non ha al momento evidenze che la supportino in modo tale da sostituire in pianta stabile la terapia insulinica, che gli stessi autori raccomandano come prima scelta anche in ambiente ospedaliero non critico. L’uso dei microinfusori o l’applicazione del counting dei carboidrati, fondamenti della cura del diabete insulino-trattato (specie nel tipo 1), e la stessa educazione terapeutica, ai pochi dati disponibili, pare non impattino sugli outcome relativi ai tempi di degenza o sui target glicometabolici nel breve periodo di un ricovero. Il regime insulinico basal-bolus con o senza correzioni estemporanee dell’iperglicemia non è ad oggi chiaramente superiore alla sola correzione estemporanea della iperglicemia.

Da tali spunti si può dedurre che la cura della persona con diabete non può essere considerata una pratica univoca e che quello che è consolidato nei setting ambulatoriali non può essere automaticamente trasferito in ambiti assistenziali con obiettivi clinici differenti. E con un senso del tempo differente: nella cronicità si lavora per la sopravvivenza a lungo termine dei nostri pazienti, nei setting acuti, critici o non critici, si lavora – con strumenti e obiettivi differenti – per la sopravvivenza a breve termine.

È necessario dunque attendere che dati di qualità, relativi a questo peculiare momento della vita delle persone con diabete, emergano sempre più solidi e numerosi al fine di consolidare la pratica clinica ospedaliera, in area non critica, relativa alla gestione dell’iperglicemia.


J Clin Endocrinol Metab 2022 Jun 12. Online ahead of print

PubMed


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