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La medicina personalizzata nel diabete: il ruolo degli “omics” e dei biomarcatori

A cura di Gabriella Piscitelli per il Gruppo AMD: Terapia personalizzata

4 luglio 2016 (Gruppo ComunicAzione) – Una review pubblicata dal Dott. Ewan R. Pearson (Dundee, Regno Unito) sulla rivista Diabetic Medicine affronta il tema della medicina personalizzata (detta anche stratificata o di precisione) nel diabete non di tipo 1 facendo il punto sullo stato dell’arte riguardo ai fattori fisiopatologici ed eziologici della malattia e genotipici del paziente che possono influenzare l’efficacia e la tollerabilità della terapia ipoglicemizzante.

L’eterogeneità del diabete, per caratteristiche fenotipiche e la variabilità della risposta ai trattamenti e del decorso della malattia, a parità di fenotipo, rappresentano una sfida alla sua gestione personalizzata che rimane più un’arte – basata sull’esperienza e il buonsenso – che una scienza.

Negli ultimi 10 anni vi sono tuttavia stati importanti sviluppi che già possono, almeno in parte, guidare su basi scientifiche la personalizzazione della terapia ipoglicemizzante.

Considerando la fisiopatologia del diabete di tipo 2, il dosaggio del C-peptide a digiuno, sottoutilizzato nella pratica clinica, rappresenta un biomarcatore facile da misurare e utile per guidare la scelta terapeutica in base alla funzionalità beta-cellulare. L’impiego di farmaci secretagoghi – sulfoniluree, DPP4, agonisti recettoriali del GLP-1 – andrebbe escluso in caso di deficit severo di insulina (C-peptide <0,25 nmol/l), privilegiandone l’uso in pazienti con funzionalità beta-cellulare sufficientemente conservata. I tiazolidinedioni, promotori dell’attività insulinica, si sono dimostrati più efficaci nei pazienti obesi insulino-resistenti che nei pazienti normopeso.

Studi di genetica molecolare hanno permesso l’identificazione di un particolare sottotipo di MODY (Maturity-Onset Diabetes of the Young), causato da mutazioni del gene HNF1A che comportano un’alterazione funzionale della beta-cellula correlata a difetti della glicolisi e del metabolismo mitocondriale. In tali pazienti le sulfoniluree, agendo sui canali del KATP a valle, permettono di eludere il difetto genetico rappresentando una valida alternativa al trattamento insulinico.

Inoltre da studi di farmacogenetica derivano altri importanti risultati: il 6% della popolazione è portatrice di un polimorfismo del gene che codifica per il citocromo CYP2C9 che comporta un ridotto metabolismo delle sulfoniluree a livello epatico associato a un incremento delle loro concentrazioni plasmatiche e quindi a maggiore efficacia ma aumentato rischio di ipoglicemia. I pazienti portatori di questa alterazione potrebbero quindi beneficiare di un trattamento personalizzato a dosi ridotte di sulfoniluree.

Il trasporto attraverso la parete intestinale della metformina, in quanto catione organico, è largamente influenzato da un sottogruppo di trasportatori di cationi organici chiamato OCT1. L’8% della popolazione europea è portatrice di due varianti di OTC1 con funzione ridotta e ha un rischio doppio rispetto alla popolazione normale di sviluppare una severa intolleranza gastrointestinale alla metformina, esacerbata – rischio aumentato di 4 volte – dal trattamento concomitante con farmaci di largo utilizzo nel paziente diabetico – repaglinide, inibitori di pompa protonica, antidepressivi triciclici, prazosina e altri ancora – che pure inibiscono OCT1. In questi pazienti la scelta di farmaci che non interferiscano con OCT1 potrebbe dunque diminuire il rischio di intolleranza alla metformina.

Studi di associazione sull’intero genoma (genome-wide association studies, GWAS) applicati a pazienti trattati con metformina hanno evidenziato l’associazione tra un locus genico – identificato come rs11212617 formato da 7 geni localizzato sul cromosoma 11 – e la risposta al farmaco.

La ricerca si sta ora muovendo oltre la genetica, in un campo molto più complesso che considera l’epigenetica tessuto-specifica (epigenomics), l’espressione genica (transcriptomics) e l’integrazione di tali dati con l’esposizione a fattori ambientali e a farmaci che possono essere catturati da misurazioni su larga scala di metaboliti (metabolomics) e proteine (proteomics).

Il ruolo del microbioma intestinale nel metabolismo, dei farmaci in particolare, è sempre più riconosciuto e studiato e la sequenziazione genica è sempre più utilizzata per identificare le specie batteriche presenti nell’intestino e correlate al rischio di malattia o al metabolismo dei farmaci. Recentemente è stato dimostrato che l’alterazione del microbioma indotta dal trattamento con metformina è in parte responsabile dell’intolleranza e della risposta al farmaco. Lo studio del microbioma e dell’associato metaboloma dell’ospite in relazione alla risposta alla metformina è un’area di crescente interesse e alcuni studi hanno già valutato con qualche successo l’impatto di modulatori del microbioma sull’intolleranza alla metformina.

In conclusione, le evidenze disponibili per una vera personalizzazione del trattamento ipoglicemizzante nel paziente diabetico sono limitate a pochi esempi di fenotipi e genotipi che possano guidare la scelta terapeutica. I recenti progressi in campo tecnologico permettono una migliore comprensione della variabilità individuale che influenza la risposta terapeutica evidenziando tuttavia il complesso intreccio di interazioni coinvolte che incrementa la complessità degli studi volti all’identificazione di marcatori predittivi.

 

Diabet Med 2016;33:712-7

PubMed


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