Probabile trattamento inappropriato (in eccesso) in anziani diabetici
A cura del Gruppo AMD: Diabete nell’anziano
25 maggio 2015 (Congresso Medico) – Da alcuni anni le linee-guida di numerose società medico-scientifiche suggeriscono un approccio personalizzato, centrato sul paziente, nella cura del diabete mellito. In quest’ottica, per le persone anziane diabetiche con quadro clinico complicato da comorbilità e/o disabilità vengono suggeriti obiettivi più “morbidi” e strategie terapeutiche volte a evitare l’ipoglicemia che notoriamente può avere effetti particolarmente deleteri su questi pazienti.
Un’indagine americana, recentemente pubblicata sulla rivista JAMA Internal Medicine, ha cercato di mettere in relazione il controllo metabolico di anziani diabetici con la terapia assunta per valutare un eventuale “trattamento inappropriato in eccesso”; 1288 diabetici anziani (età media 73,2 ± 5,7 anni) provenienti da un campione rappresentativo della popolazione statunitense (NANHES anni 2001-2010) e per i quali era disponibile un’emoglobina glicata sono stati divisi in 3 categorie sulla base delle comorbilità e degli score ottenuti utilizzando gli strumenti ADL (activities of daily living) e IADL (instrumental activities of daily living):
1) relativamente sani;
2) con stato di salute a complessità intermedia;
3) con stato di salute precario (e ridotta aspettativa di vita).
Ben il 60% dei pazienti anziani con diabete è risultato avere un’emoglobina glicata inferiore al 7% e circa il 42% un valore inferiore al 6,5%. Particolarmente interessante il fatto che nessuna differenza significativa è emersa fra le 3 categorie funzionali sopra descritte (p = 0,43) riguardo tale dato. Fra i pazienti con emoglobina glicata inferiore al 7%, circa il 55% era trattato con insulina e/o sulfoniluree; e anche in questo caso senza differenze significative tra le 3 categorie funzionali, suggerendo un verosimile trattamento inappropriato (in eccesso) per i pazienti con stato di salute a complessità intermedia e per quelli con ridotta aspettativa di vita. E’ improbabile, infatti, che queste due categorie funzionali possano beneficiare di un controllo glicemico intensivo, il quale richiede un arco temporale di almeno 8-10 anni per manifestare i suoi vantaggi; è invece probabile che controlli metabolici così spinti, in pazienti proni alla fragilità, li espongano a un rischio consistente di ipoglicemia e alle sue conseguenze (aumentato rischio di fratture, di decadimento cognitivo, di eventi cardiovascolari e di morte).
In conclusione, in questo campione di anziani diabetici, rappresentativo della popolazione statunitense, circa il 60% dei soggetti con quadro clinico a complessità intermedia o elevata raggiunge valori di emoglobina glicata inferiori al 7% e metà dei pazienti raggiunge tale obiettivo con l’uso di farmaci che possono provocare ipoglicemia. Giova ricordare che dati abbastanza simili e preoccupanti emergono dall’analisi dei dati italiani (si vedano gli Annali Anziani AMD).
JAMA Intern Med 2015;175:356-62
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