Porzioni e sproporzioni degli alimenti
Gli alimenti e le bevande che consumiamo provengono sempre più frequentemente da aziende alimentari, spesso grandissime, «serie e attente alla qualità del prodotto, sotto questo profilo non c’è nessun timore», esordisce Antonella Sias, «ma queste aziende hanno obiettivi loro legittimi non sempre convergenti con quelli della persona che vuole vivere una vita sana».
Insomma le aziende produttrici devono vendere sempre di più, rendere sempre più appetibile la loro offerta per farsi spazio in una concorrenza ampia. «Il consumatore deve quindi avere un atteggiamento attento se non critico, e cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni su quello che mangia».
L’esempio classico è quello delle porzioni. Il costo reale degli alimenti è spesso minimo. Detto in altre parole, per chi le produce, un pacchetto di patatine da 100 gr costa pochissimo meno di uno da 150 grammi, da qui l’incentivo a mettere sul mercato porzioni ‘sproporzionate’ che attraggono l’occhio e sono presentate come un affare.
«Con alcuni prodotti freschi abbiamo una istintiva percezione della porzione giusta», riflette la Sias, si mangia una mela ma difficilmente si consuma un intero melone o un’anguria, «questo non avviene invece con le preparazioni del commercio».
Le aziende alimentari investono molto per rendere i loro cibi più appetitosi, più saporiti più palatabili, il coinvolgimento dei sensi, in particolare il gusto dell’alimento è studiato nei dettagli. «E questi obiettivi sono raggiunti aggiungendo alla preparazione base sale, zucchero o grassi che ne aumentano il potere calorico», ricorda la Sias, dietista volontaria nel Servizio di Diabetologia dell’ospedale San Giovanni di Dio a Cagliari. In particolare, bisognerebbe stare attenti agli olii di cocco e di palma, a volte genericamente definiti olii vegetali’ o grassi vegetali’. Pur essendo vegetali, questi grassi sono saturi come quelli animali, hanno quindi l’effetto di aumentare il colesterolo e andrebbero ridotti o evitati. Così pure i grassi trans o grassi idrogenati, come quelli presenti nella margarina ‘dura’ che hanno invece l’effetto di abbassare il colesterolo buono, che nella persona a rischio di diabete e sovrappeso è già tendenzialmente basso.
Bisogna guardarsi anche dalle affermazioni gridate’ dalle confezioni, il più delle volte svianti: magro’ non vuol dire molto se è riferito a un formaggio, senza zuccheri’ significa nella maggior parte dei casi senza zuccheri aggiunti. «Ma un bicchiere di questo succo di arance ha comunque lo zucchero di tre arance senza avere quasi nulla del suo contenuto originale in fibre», ricorda la dietista. Basta vedere il contenuto in calorie per rendersene conto. Anche questo però non è facile. Le etichette nutrizionali sono, a volte riferite alla confezione, a volte a una non meglio specificata porzione, a volte a 100 gr o ml di alimento.
Ovviamente non è pensabile guardare le etichette nutrizionali di tutti i prodotti che acquistiamo e dei loro equivalenti e concorrenti per selezionare quello più adatto. Una ‘spesa’ normale richiederebbe diverse ore. È possible però dedicare durante ogni ‘spesa’, ogni visita al supermercato, cinque minuti all’esame di una categoria. Oggi guardo i biscotti per la colazione, la prossima volta o sughi pronti, la volta dopo ancora gli yogurt e così via. In un anno si possono definire delle scelte informate per ogni alimento messo in tavola.
«Bisogna stare attenti anche alle iniziative promozionali che invitano a fare provvista di qualcosa», nota Antonella Sias; «sulla carta sono convenienti, di fatto però avere un’ampia provvista di qualcosa significa consumarne di più». Questo vale anche per le confezioni famiglia: «Magari non metterò più sale nell’acqua se ne ho comprato dieci chili, ma è fatale che la confezione da 12 brioche o il pacchetto da 6 lattine di birra finisca più velocemente».
I supermercati e i frigoriferi sono sicuramente una gran comodità, «ma hanno rotto quell’istintivo equilibrio che esisteva quando ogni mattina si andava a fare la spesa per il giorno stesso e quando l’acquisto del cibo era dettato da considerazioni economiche e non salutistiche, che inducevano a limitare il consumo», ricorda la dietista di Cagliari.
Le dietiste hanno tanti trucchi da proporre al riguardo: non portare con sé bancomat o carte di credito ma i soldi contati, fare una lista della spesa articolata tenendo conto di quel che manca in casa «soprattutto non andare a fare la spesa quando si ha fame. È provato che in queste condizioni finiscono nel carrello molti alimenti gustosi ma ricchi di calorie e di grasso dei quali si sarebbe altrimenti fatto a meno».