Omega-3 ovunque
Il destino di miliardi di sardine e acciughe che nuotano felici al largo delle pescose coste peruviane è quello di finire ‘in polvere’. Una gran quantità di pesce azzurro, ricco di salutari grassi omega-3, viene infatti trattata e trasformata in mangime per animali. Ora però l’industria americana dell’health food, del cibo per una alimentazione corretta, sta cercando nuove strade. L’ultima moda in materia di alimentazione industriale ma sana è utilizzare le sostanze omega-3 estratte da questi pesci e trapiantarle in cibi e bevande che gli americani sono più disposti a consumare quotidianamente. La dieta della famiglia media del Nebraska è povera di sardine e salmoni? Niente paura, basta mettere l’omega-3 nel pane integrale o magari nel succo di arancia della colazione. È come mangiare una teglia di acciughe gratinate, senza il sapore del pesce, per molti fastidioso. Tra i benefici dell’omega-3, dicono i dietologi, c’è un sistema cardiovascolare più protetto e persino un miglior sviluppo neuromuscolare nel bambino.
E la complessa realtà di quelle che gli americani hanno cominciato a chiamare ‘nutroceutiche’ o farmalimentari: agenti e sostanze presenti in natura che si comportano come medicinali. Negli Stati Uniti, additivi naturali come le vitamine e minerali sono da sempre presenti in molti alimenti trattati. Alcuni di essi sembrano però caduti disgrazia. Gli studi più recenti su vitamina E, beta-carotene e acido folico, i famosi ‘anti-ossidanti’, dicono che gli effetti sul sistema vascolare sono stati ampiamente sopravvalutati in passato. Calcio, fibre e, appunto, grassi omega-3 sono in ascesa, al punto che diverse industrie ‘farmacoalimentari’ cominciano a proporre queste sostanze in forme che hanno poco a che fare con il cibo. Ma davvero questi additivi giovano alla salute? Alice Lichtenstein, della Tufts University, intervistata dal New York Times – che dedica alla problematica farmalimentare un recente articolo – avanza qualche perplessità: «forse, mangiare tante sardine ‘fa bene’ solo nel senso che così facendo non abbiamo tempo per cibarci di cose che sicuramente fanno male». Ed è già una buona cosa.
(dal New York Times)