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Spiritualità e salute

A cura di Elena Cimino per il Gruppo AMD: Donna

5 dicembre 2016 (Gruppo ComunicAzione) – L’interesse per il ruolo della spiritualità e della religione sulla salute della persona ha portato alla pubblicazione di numerosi studi.

Recentemente, Shanshan Li e coll.(USA)hanno pubblicato uno studio sulla rivista JAMA riguardante l’impatto della partecipazione a servizi religiosi in un sottogruppo di 74.534 infermiere dal Nurses’ Health Study. Le donne partecipavano volontariamente allo studio, avevano un’età media di 60 anni ed erano principalmente cristiane (protestanti o cattoliche). Nel gruppo erano però rappresentati anche altri gruppi religiosi – ebrei, buddisti e mussulmani – anche se non in modo statisticamente significativo.

Il lavoro ha riportato una chiara e moderata associazione tra la partecipazione a servizi religiosi e la diminuzione di mortalità in un periodo di follow-up lungo 16 anni. Al termine del follow-up si rilevavano 13.537 decessi in totale, di cui 2721 legati a patologie cardiovascolari e 4479 a patologia tumorale. Dopo una analisi multivariata per i maggiori fattori di rischio dello stile di vita si è visto che chi frequentava un servizio religioso per più di una volta alla settimana aveva un rischio ridotto del 33% di mortalità per tutte le cause rispetto ai non praticanti.

Nello studio si conferma quindi una nota associazione inversa tra la partecipazione a servizi religiosi ed eventi avversi: il maggiore contributo scientifico è stato dato sia dal vasto campione, sia dalla partecipazione attiva delle donne e dal lungo follow-up. Inoltre, veniva testata l’associazione tra variabili indipendenti e i diversi fattori confondenti, specialmente il supporto sociale della persona e il suo stato di attività. Si richiedeva che le partecipanti frequentassero almeno una volta a settimana il servizio religioso. Nello studio non venivano presi in considerazione aspetti più o meno benefici legati alle pratiche religiose o alla sfera spirituale in generale. Lo studio era rivolto semplicemente alla partecipazione a un servizio religioso, ma permetteva, grazie all’ampio campione, di fornire una valutazione elementare del supporto sociale. Infatti le motivazioni per recarsi agli appuntamenti spirituali non dipendevano soltanto dalla devozione personale, ma anche dalle abitudini o dalla pressione sociale o dalla sensazione di solitudine della donna. Uno dei limiti del lavoro sta certamente nel fatto che tali donne, che hanno partecipato volontariamente allo studio, avevano un livello di educazione superiore rispetto alla popolazione generale e una formazione di base maggiore riguardo alla salute. Non è stato possibile (per la scarsa numerosità dei sottogruppi) effettuare un confronto tra le diverse pratiche religiose.

Quindi, perché è interessante questo studio? Innanzitutto, conferma che la partecipazione a comunità religiose riduce il rischio di mortalità, ma non è ancora in grado di spiegarne i motivi che andranno esplorati con analisi diverse. In particolare: è possibile che la frequentazione di pratiche religiose possa essere associata a una migliore condizione di salute che, a sua volta, possa spiegare, in parte, la longevità delle donne? Sicuramente saranno necessari e utili nuovi studi epidemiologici per indagare a fondo la relazione tra spiritualità e salute.

 

JAMA Intern Med 2016;176(6):777-85

PubMed


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